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Arslan: the Warriors of Legend - Recensione

Creato il 09 febbraio 2016 da Lightman
Arslan: the Warriors of Legend - Recensione

Giovanni Calgaro è avvocato per sbaglio, ma tuttologo per passione, cresciuto a pane e videogiochi sin dalla più tenera età. Allevato da un commodore 64 non ha mai smesso di stupirsi per l'immensità della forma d'arte videoludica, tanto da sentire molto presto il bisogno di sfruttare l'amore per la scrittura per raccontare, far conoscere ai più e condividere questa meravigliosa passione. Potete sempre trovarlo su Facebook e Twitter, sempre che non sia in qualche aula di tribunale.

Da qualche tempo a questa parte registriamo con estremo piacere il rinnovato interesse e la positiva apertura del mercato occidentale verso le produzioni provenienti dal Sol Levante; siano esse videogiochi, manga, anime o merchandising da essi derivante. Una curiosa vivacità che spinge sempre più publisher ad uscire dall'isolazionismo, rischiando la localizzare di titoli che, fino a qualche tempo fa, sarebbe stato impensabile vedere nei nostri lidi. E noi, da bravi onnivori, non possiamo che essere estremamente contenti per questo gradito ampliamento del menu. D'altro canto, non sempre riusciamo a comprendere in tutte le sue sfaccettature ciò che ci viene proposto. Il più delle volte, infatti, si tratta di opere che in terra nipponica sono ormai pienamente affermate, forti di un ciclo vitale pervasivo e nel pieno della loro forza commerciale. Arslan: The Warriors of Legend ne è l'esempio perfetto.
Capire qualcosa di più sull'ultima fatica dell'inossidabile duo Koei Tecmo - Omega Force, insomma, non è facile. Anzitutto, il titolo non è altro che un tie-in scaturito da una famosissima (ovviamente in Giappone) e longeva serie di light novel ideata da Yoshiri Tanaka. O, meglio, è l'adattamento videoludico dei media più recenti i quali, rispetto agli OAV prodotti nei primi anni novanta, presentano un design decisamente più curato e personaggi maggiormente caratterizzati. E ci mancherebbe altro: la mangaka dietro al restyling non e altri che Hiromu Arakawa, creatrice di Full Metal Alchemist.
Lo sviluppatore nipponico, inoltre, non è stato il primo a trasformare le vicende del Principe Arslan in stringhe di codice. SEGA ci pensò già nel 1993 sfornando uno strategico turn based che, se fosse pubblicato oggi, sarebbe osannato come un piccolo gioiello di pixel art.
Omega Force, al contrario, fa quello che gli riesce meglio. Ossia gettare Arslan in un musou derivativo, caciarone e politically correct, ricco di spensierate mazzate in cel shading.

Dynasty Warriors: Arslan

Arslan: the Warriors of Legend - Recensione

Arslan: The Warriors of Legend segue fedelmente l'atmosfera e le vicende riportate nell'anime e nel manga (da novembre giunto finalmente in Italia grazie a Panini Comics). Arslan è il principe quattordicenne erede al trono del regno di Pars che, improvvisamente, si trova a dover crescere in fretta, coinvolto com'è in eventi ben più grandi di lui. Da buona avventura fantasy la tematica principale non poteva che essere quella del viaggio. Un viaggio fisico, teso alla riconquista di ciò che gli è stato - forse ingiustamente - tolto ed un viaggio di crescita interiore, che porta il giovane verso l'acquisizione di una nuova consapevolezza del ruolo di futuro regnante.
La riconquista del trono passa dunque attraverso la ricostruzione dell'esercito, subdoli intrighi di corte, tradimenti, alleanze improbabili, dilemmi morali e tematiche socio-politiche "mature", le quali fanno da sfondo alla disperata resurrezione di Arlsan e dei pochi fedelissimi che gli hanno giurato fedeltà eterna. Sotto il profilo narrativo, comunque, non possiamo certo criticare il lavoro svolto dai ragazzi di Omega Force, i quali si sono limitati a trasporre in digitale vicende già ampiamente raccontate in altre sedi.
Il canovaccio, purtroppo, tende a direzionare l'avventura dall'inizio alla fine attraverso una eccessiva linearità che riesce a smorzare persino la sorpresa per i pochi - prevedibilissimi - colpi di scena sparsi lungo la parabola ascendente del principe senza trono.
La stessa caratterizzazione dei molti attori di questa tragedia ad episodi, purtroppo, non colpisce per originalità o profondità e rimane su tratti abbastanza pressappochisti. Arslan viene dipinto principalmente come un cucciolo dal cuore tenero bisognoso di protezione che solo alla fine riesce a graffiare; mentre l'antagonista appare come il cattivo complessato di turno che nasconde il suo volto dietro ad una maschera. Trovata, a nostro avviso, che fa molto anni ottanta e tradisce la vetustà della serie.
Se l'impianto narrativo ha paura di addentrarsi più in profondità, la struttura di gioco - questa sì farina del sacco di Omega Force - sembra non voler essere da meno.

Botte da orbi

Fin da subito appare chiaro che la struttura ludica su cui poggia Arlsan: The Warriors of Legend deriva direttamente dai precedenti lavori del team. In fondo, gli Omega Force sono tra i maggiori esperti mondiali quando si parla di musou. Il titolo fonde la tradizione del genere (Dynasty Warriors su tutti) con alcune trovate già viste in One Piece Pirate Warriors (qui opportunamente rimaneggiate) e giusto qualche piccola novità.

Si inizia, ovviamente, con la modalità Storia. Questa alterna senza soluzione di continuità cut scene in pieno stile anime che permettono di gustarsi il prosieguo della storia e scenari in cui, invece, ricopriamo il ruolo attivo di protagonisti sul campo di battaglia. Ritroviamo tutto ciò a cui Dynasty Warriors ci ha abituati, ossia arene gigantesche da percorrere a cavallo e brulicanti di centinaia di soldati nemici il cui unico scopo è quello di farsi ammazzare nel modo più creativo che riusciamo a trovare. Magari utilizzando il Mard?n Rush, sorta di attacco "ultimate" che si attiva solo in determinate condizioni e consente di prendere il controllo di un intero battaglione (cavalleria, arcieri o fanteria a seconda dell'eroe controllato) per un tempo limitato in modo da spazzar via barriere impenetrabili od un intero esercito nemico.
L'azione di gioco viene sfrondata da briefing ed eventuali fasi di preparazione. Gli sviluppatori hanno optato per la "leggerezza" a tutti costi togliendo inventario, equipaggiamento ed affini. Ma andiamo con ordine.

In ogni stage il giocatore controlla automaticamente l'eroe (o gli eroi) che la trama prevede per un determinato scenario. Lo stesso vale per le condizioni di vittoria. Durante la battaglia queste ultime appaiono come sfide a tempo. A seconda della velocità e dell'abilità con cui si portano a termine gli incarichi (attraverso il solito sistema delle votazioni) si ricevono esperienza, oro e Skill Card. Queste vanno a rimpiazzare la classica concezione ruolistica dello "skill tree". Equipaggiandone sino a tre per volta è possibile modificare e combinare, in modo abbastanza vario, le statistiche del personaggio. Esistono Set di Skill Card dagli effetti unici e si possono fondere cinque o più carte inutili per riceverne una nuova.
Questo sistema, sulle prime, pare interessante- Peccato che, a lungo andare, si avverta lo scarso impatto che tutto ciò ha sull'economia di gioco. Non si percepiscono grandi effetti sul gameplay e ci si limita, di stage in stage, a mulinare meccanicamente fendenti a destra e a manca fino alla fine della battaglia.
Ogni combattente, poi, possiede stili di combattimento peculiari e può portare sino a tre armi, anch'esse, però, predefinite. Come al solito ritroviamo l'attacco normale, quello potente e quello speciale che, se concatenati, possono dar vita a combo spettacolari, belli da vedere e devastanti. Infine, le armi possono essere potenziate aggiungendo i quattro attacchi elementali i quali si sbloccheranno a seconda del livello di maestria guadagnato dall'eroe di turno.
Manca l'elemento strategico e, col passare del tempo, il senso di ripetitività si fa sempre più greve, acuito dal pochissimo spazio lasciato alla personalizzazione di un'esperienza di gioco che, in realtà, è comandata dall'inizio alla fine. Gli obiettivi si ripetono in continuazione con pochissime varianti e solo le sfide con i boss (solo a livelli di difficoltà elevati) riescono a donare un po' di varietà e tatticismo agli scontri.

Shah Andragoras... Sei proprio tu?

Il titolo offre davvero poco altro con cui intrattenersi dopo il completamento della trama principale. Una Free Mode permette di selezionare il combattente (anche tra le fila nemiche) e lo scenario, mentre la modalità Online consente di allearsi con un compagno per affrontare lo scenario prescelto sia nella classica modalità libera, sia ripercorrendo le fasi salienti della storia principale.
Anche il comparto tecnico presta il fianco a più di una critica, nonostante svolga in maniera dignitosa il proprio lavoro con particolare riferimento ai personaggi principali, imbellettati da un gradevole cel shading (mutuato sicuramente da One Piece Pirate Warriors) che ricalca fedelmente i tratti disegnati da Hiromu Arakawa. Noi, per la cronaca, non potevamo che posare gli occhi sulla procace sacerdotessa Farangis.

Arslan: the Warriors of Legend - Recensione

Lo stesso discorso non può, però, essere fatto per la vera croce di ogni musou: il design ambientale. Come al solito, questi si presentano estremamente spogli, con texture incomprensibilmente piatte e funzionali al solo scopo di contenere una quantità impressionante di nemici a schermo. Sotto questo profilo l'engine riesce a reggere abbastanza bene attestandosi su un frame rate che raggiunge tranquillamente i 60 FPS e che traballa in modo non fastidioso solo nelle fasi più concitate.
Menzione a parte, invece, merita il comparto audio davvero buono, costituito da una soundtrack che mescola pezzi frenetici, ritmati e graffianti in pieno stile musou e campionature musicali di più ampio respiro. Il titolo è completamente in inglese ma, fortunatamente, il doppiaggio rimane nella lingua originale giapponese.


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