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Arte per me è sinonimo di bellezza, anche ultimamente accade sempre più spesso il contrario.E questo mi porta a Michel Landy. Nato nel 1963, appartiene al gruppo dei YBA (Young British Artists) di Damien Hirst e Tracey Emin, è diventato famoso nel 2001 per aver ditrutto sitematicamente tutti i suoi averi (inclusi calzini, fotografie e il suo certificate di nascita) in un capannone in Oxford Street in un’evento chiamato Break Down. E fin qui nienche di strano se non fosse per il fatto che la National Gallery gli ha commissionato una serie di installazioni ora in mostra. Una mostra che si chiama Saints Alive, in cui sei automi ispirati a figure di santi e martiri dei quadri della collezionem si attivano come giganteschi robot quando qualcuno pigia un bottone con il piede o gira una manovella. Dovrebbero ricreare il tormento del martirio. E invece fanno solo rumore. Tanto che i custodi della NG hanno tappi per le orecchie quando lavorano in quelle sale. Quale orrore. Stento a credere che una cosa del genere possa trovare posto nelle sale della mia adorata National Gallery. Non c’è una volta che passi da Trafalgar Square e non faccia un salto a salutare il mio Botticelli favorito, a immergermi nel blu di Tiziano e di Bronzino, a sognare davanti alla Venezia di Canaletto e Guardi - e non capisco il perché un’istituzione come quella senta il bisogno di trasformarsi in una succursale della Tate. È una domanda retorica questa, che il perché lo so benissimo, è un trend diffuso ovunque. Dumbing down si chiama il termine politicamente scorretto. Dalle etichette esplicative sono sparite tutte le traduzioni dal latino, e sono apparse spiegazioni tra parentesi di oggetti la cui ovvietà è palese. O forse lo è per me perché da piccola mi sono presa il disturbo di andare a cercare quella parola sul vocabolario. Sembra quasi che i musei al giorno d’oggi stiano perdendo fiducia nella capacià delle loro collezioni di attirare il pubblico e così semplificano il loro linguaggio, invece di spettarsi dal pubblico uno sforzo. E se in passato questo significava venire incontro a coloro che non avevano avuto il privilegio di un’educazione, ai nostri giorni questo è davvero ingiustificabile. Significa perdere credibilità.E questo ci riporta a Michael Landy e alla National Gallery (ma potrebbe essere qualsiasi altro museo, in UK o in Europa). La presenza di Landy alla NG (e di molti artisti in residence) era mirata ad attrarre un pubblico giovane, quello che appunto va alla Tate perchè è cool. Perché tutto ora si reduce ad una questione di audience, quante persone varcano la soglia dei musei. Che poi lo facciano per usare il bagno (gratis) o guardare le collezioni sembra non importare.
Michael Landy's kinetic sculpture Doubting Thomas: 'the most shattering work here'. Photograph: courtesy of the Thomas Dane Gallery, London
Certo, da quando nel 2001 il governo di Tony Blair decise di eliminare l’ingresso a pagamento a musei e gallerie nazionali britanniche (introdotto dalla Thatcher) per allargare ad un pubblico più vasto l'accesso al patrimonio culturale della nazione, il numero di visitatori dei musei nazionali è quasi raddoppiato. E le cifre hanno continuato a salire in tutto il Paese. Da allora l’ingresso gratuito ai musei nazionali è diventato una parte integrante della vita culturale britannica, tanto da portare il Segretario alla Cultura Jeremy Hunt ad affermare che "la cultura è di tutti, non solo di pochi fortunati” e di essere particolar mente orgoglioso dell’aver garantito il futuro dei musei gratuiti, nonostante l'attuale clima finanziario. Ma quelli attuali sono tempi difficili e il principio di mantenere l'ingresso gratuito costa caro. E allora si montano mostre che non hanno senso, come questa.
E il problema non sono persone come Landy, ma le istituzioni che usano i loro sensazionalismi come richiamo per portare i ragazzini al museo. Ed è sbagliato. Ma questa è solo la punta dell’iceberg, il problema sta a monte, sta nella scuola e nel fatto che, almeno in Gran Bretagna, materie fondamentali come la storia, la letteratura e le materie classiche stiano scomparendo dai programmi, sostituite dall'onnipresente Media Studies; materie senza le quali la nostra comprensione del presente si riduce ad un gruppo di automi rumorosi che starebbero meglio in un luna park.
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