ARTE DELLA TRADUZIONE LETTERARIA
La traduzione letteraria è una strana arte. Si compone di una persona seduta a una scrivania, che scrive letteratura che non è la sua, che ha il nome di qualcun altro su di essa, che è già stato scritto. Il lavoro del traduttore appare definirsi un “prodotto derivato”. Qualcuno scrive un libro sulle persone che siedono in un museo di copie di dipinti famosi? I copisti non sono artisti, sono solo studenti, aspiranti o truffatori.
Eppure la traduzione letteraria è un’arte. Ciò che la rende un’arte così strana è il fatto che fisicamente un traduttore fa esattamente la stessa cosa dello scrittore. Se un attore ha fatto la stessa cosa di un drammaturgo, un ballerino ha fatto la stessa cosa di un compositore, o un cantante ha fatto la stessa cosa di un cantautore, nessuno penserebbe molto di quello che è stato fatto.
Come un musicista, un traduttore letterario prende la composizione di qualcun altro e la esegue a modo suo, in un modo speciale. Proprio come un musicista incarna le note di qualcun altro muovendo il suo corpo o l’ugola della gola, un traduttore incarna i pensieri e le immagini di qualcun altro, scrivendo in un’altra lingua. La più grande differenza non è tanto con il musicista che produce movimenti nell’aria, mentre il traduttore produce parole, quanto nel fatto che una composizione musicale è destinata a essere tradotta in movimenti del corpo e della gola, mentre un lavoro di letteratura non è destinato a essere tradotto in un’altra lingua. Così, anche se è praticamente invisibile, l’arte del traduttore è più problematica. Ed è anche quella più responsabile, perché mentre ogni musicista sa che la sua prestazione è semplicemente uno delle tante, spesso una delle migliaia, di quel musicista e di altri, il traduttore sa che la sua prestazione sarà unica, almeno l’unica del suo genere, e che non avrà la possibilità di migliorarla o di provare un diverso approccio, una volta che finisce sulla carta stampata.
Mentre il traduttore si assume questa responsabilità trasformando le opere letterarie in forme che non sarebbero mai state destinate a prendere, gli manca un palcoscenico per farlo. Nessuno può vedere la sua difficile performance, se sbaglia. Infatti, a differenza di tutti gli altri attori, è lodato soprattutto per non essere visto, per aver creato con successo un palinsesto, due opere, una sopra l’altra, una originale e una performance, difficile da distinguere.
Tendiamo a pensare al traduttore letterario come qualcuno che è pratico con le lingue. Che è come dire che un musicista è qualcuno che è bravo con le note. Certo che lo è, ma essere bravi con le note non vi farà un buon musicista; è solo uno dei requisiti. Per riprodurre la musica, devi essere in grado di suonare uno strumento, e devi essere sensibile alle sfumature e capire quali combinazioni di note hanno un significato. Allo stesso modo, un traduttore deve essere in grado di leggere come critico e di scrivere come uno scrittore. Il poeta e traduttore inglese John Dryden ha scritto nel XVII secolo: “Il vero motivo per cui abbiamo così poche versioni che sono tollerabili [è che] ci sono così pochi che hanno il talento necessario per la traduzione, e che ci sia così poca gratificazione e così poco incoraggiamento per una così considerevole parte di apprendimento”. Oggi non molto è cambiato.