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Ritornando a noi...ecco il quadro che questa settimana ha attirato la mia attenzione...."La Sibilla Cumana" di Domenichino
Domanda molto importante è...MA CHI è LA SIBILLA?Navigando su internet ho trovato un sito che fornisce un'ampia spiegazione al riguardo...Nella mitologia greca e romana, era una qualsiasi donna dotata di poteri divinatori donatigli da Apollo. Le Sibille vivevano in grotte o nei pressi di corsi d'acqua e vaticinavano in stato di inconsapevole frenesia, abitualmente scrivendo in esametri greci. Gli antichi scrittori greci citavano una sola Sibilla, probabilmente Erofile di Eritre, che aveva predetto la guerra di Troia. Circa il significato della parola, sappiamo che rimane decisamente oscuro. La parola "Sibilla" potrebbe avere il significato di "VERGINE NERA", cioè la vergine o divinità che opera in un luogo oscuro, com'è l'antro nel quale la tradizione la colloca nei momenti in cui pronuncia i suoi "VATICINI". La Sibilla, posseduta dalla divinità, è una creatura sconvolta, che cerca di resistere ad una condizione di sofferenza alla quale viene trascinata da una forza superiore: i suoi vaticini sono perciò duri e spesso angosciosi. Le leggende posteriori enumeravano nove Sibille: "la CUMANA (denominata da altri autori DEIFOBE, EROFILE, AMALTEA, DEMIFELE), la DELFICA, la LIBICA, la SAMIA, l'ELLESPONTICA, la FRIGIA, la PERSICA, l' ERITREA, la TIBURTINA.I più acuti studiosi del fenomeno sibillino sono: "Klausen" e "Bouchè". Secondo Klausen il personaggio della Sibilla nasce in virtù dell'incontro fra Dioniso, che fornisce l'elemento più significativo del suo culto, cioè la "BACCANTE ENTUSIASTICA" e Apollo al quale presta la voce per la predizione del futuro. Il Bouchè ne fa discendere il culto da Cassandra e Manto, mentre la divinazione rimane più semplice e libera rispetto a quella della Pizia.La Sibilla come la Pizia nasce dal mito di Apollo, infatti entrambi prestano la voce al dio oracolare in preda alla sofferenza che la possessione comporta, esistono però sostanziali differenze. Infatti la Pizia è vincolata a un santuario ed al periodo dell'anno in cui si supponeva che il dio fosse presente al tempio. I suoi vaticini sono soggetti all'interpretazione di un collegio sacerdotale; essa viene "invasata dal potere divino", respirando i vapori che escono da una fenditura del terreno nei pressi dell'antro, beve l'acqua di una certa fonte e ingerisce foglie di lauro, simboleggianti l'ingresso in lei del dio. Inoltre viene imposto all'interrogante l'esecuzione di determinati atti rituali, quali quelli di cingersi il capo di una corona di alloro, di tenere in mano un ramo con fascette di lana intrecciata, di conferire doni per il santuario del tempio e di sacrificare un animale; inoltre l'interrogante doveva attendere l'ammissione o meno del quesito a seconda dell'esito degli auspici. Niente di tutto questo accade per la Sibilla: di analogo non c'è che la sofferenza fisica e l'antro nel quale proferisce i suoi vaticini. Per il resto, niente tempio, e riti, e donazioni, e assistenza di sacerdoti. Come tutte le sacerdotesse, naturalmente la Sibilla non si sottrae al mistero del sacro matrimonio col dio. La sposa scelta da un dio non può essere che vergine, nè lo stato di verginità è per essa inconciliabile con quello di gravidanza perchè l'amplesso divino non è che "Mixis ", un soffio, un afflato con il quale Apollo trasmette alla sua " sposa" la purezza del suo amore. La verginità della Sibilla, nonostante la fecondità oracolare, non viene posta in discussione, così come secondo una delle più antiche concessioni religiose la terra, "madre comune", è considerata eternamente vergine ed eternamente fecondata.Particolare importanza riveste il mito della "SIBILLA CUMANA", sviluppatosi in una regione che ebbe correnti di civilizzazione bene anteriori all'epoca della collocazione della comunità greca dedotta dai Calcidesi di Pitecusa. Essa rafforzò in ogni tempo, prima e dopo la dominazione di Roma, il culto della divinità, meritò la venerazione delle genti, alimentò le speranze e placò i turbamenti delle folle in tempi difficili della storia di Roma. A questo punto viene da riflettere sul leggendario rapporto tra Erofile e la Cumana, la cui esistenza pare svolgersi in un'unica vita vissuta in due tempi diversi ma senza soluzione di continuità. La fama della Sibilla Cumana sorge in tempi antichissimi e si perpetua per una serie di motivi: per il mistero che avvolgeva la paurosa sede presso la quale proferiva i suoi vaticini; per la preesistenza di una facoltà oracolare connessa ai luoghi che ispirano i riferimenti omerici sul viaggio di Ulisse; per i versi virgiliani e perchè , infine, essa è in qualche modo collegata con la storia di Roma. Secondo la leggenda, Apollo le aveva promesso di esaudire qualunque suo desiderio in cambio del suo amore, ella gli chiese di poter vivere altrettanti anni quanti erano i granelli di sabbia che poteva tenere nella sua mano. Trascurò, tuttavia, di domandare al dio anche l'eterna giovinezza, che Apollo le offrì in cambio della sua verginità. In seguito al suo rifiuto la Sibilla Cumana iniziò ad invecchiare e a rinsecchire fino ad assomigliare ad una cicala e a essere appesa in una gabbia del tempio di Apollo, a Cuma. In queste condizioni la Sibilla aveva un solo desiderio la "morte" che tuttavia, non fu soddisfatto. La notevole longevità della Sibilla la fa spesso raffigurare molto vecchia e addirittura immortale. Ovidio ce la presenta con 300 anni ancora da vivere, ma anche dopo le sopravviverà la voce. Tanto per rifersi alla sola Erofile, si narra che, dopo essere stata a Delo, Delfi, Klaro e Samo, sia ritornata nella Troade, dove venne colta dalla morte. Un'altra leggenda narra di un considerevole prolungamento della vita concessole da Apollo, a condizione di abbandonare la sua patria per poi stabilirsi a Cuma. In una versione posteriore, guidò il principe troiano Enea nel mondo sotterraneo in cerca di suo padre Anchise; secondo un'altra leggenda apparve sotto le sembianze di una donna anziana a Tarqunio il Superbo, settimo ed ultimo re di Roma, e gli offrì i suoi nove libri profetici ad un prezzo elevato. Poichè questi rifiutò, la Sibilla distrusse tre libri e poi gli offrì gli altri sei allo stesso prezzo; Tarquinio rifiutò di nuovo e lei ne distrusse altri tre. Alla fine il re comprò i tre libri rimasti al prezzo richiesto per nove, e i volumi furono posti nel Tempio di Giove a Roma e consultati in situazioni di emergenza. I "LIBRI SIBILLINI" autentici bruciarono in un incendio dell'83 a.C., ma in seguito ne fu compilata una nuova serie che venne distrutta in epoca tardoimperiale, all'inizio del V secolo. (Fonte: http://www.latinomedia.it/)
L'ARTISTA è Domenichino. Il suo vero nome è Domenico Zampieri detto "Domenichino" probabilmente per la bassa statura o per il suo carattere molto timido e introverso. Nasce a Bologna il 21 ottobre 1581 da un calzolaio e finiti i primi studi viene ammesso alla bottega di Denijs Calvaert un pittore belga che da noi venne chiamato Dionisio Fiammingo. Nel 1595 viene sorpreso a copiare alcune stampe di Agostino Carracci e viene cacciato. Da lì approda nell'Accademia degli incamminati retta da esponenti della famiglia Carracci. Da questo momento in poi partecipa alla realizzazione di molte opere e ne realizza anche da solo. Si trasferisce a Roma per poter studiare le opere di Raffaello Sanzio insieme ad un amico e qui gli vengono affidati inportanti incarichi tra cui quello di dover affrescare, incaricato dal cardinale Agucci , La liberazione di San Pietro nella chiesa di San Pietro in Vincoli e con il cardinale formula le teorie del movimento classicista. Nel 1604 ottiene la prima commissione pubblica per Roma per tre affreschi nella chiesa di Sant'Onofrio, poi partecipa a dei lavori di completamento della decorazione della Galleria di Palazzo Farnese. Nel 1608 affresca nell'oratorio della chiesa di San Giorgio al Celio la Flagellazione di Sant'Andrea. La sua opera più famosa è la Comunione di San Girolamo. Mentre il Domenichino stava lavorando a Napoli, sorsero dispute ed accuse di plagio da parte di quella che fu chiamata la "cabala di Napoli", formata dai pittori Corenzio, Ribera e Caracciolo uniti per escludere dal loro ambiente l'artista bolognese. Si dice addirittura che il Domenichino trovasse spesso rovinato il lavoro della giornata precedente. Non si sa se per paura o per un cattivo presentimento, il 3 aprile 1641 Domenichino stende il suo testamento e muore tre giorni dopo, forse avvelenato. (Informazioni tratte dal sito http://www.settemuse.it/)
Ecco qui un'altra opera che mi è molto piaciuta..."Diana"...
Potete trovare le sue opere e una più ampia biografia QUI
Non mi resta che augurarvi un buon week end e dirvi "a sabato prossimo"!!! Ciao!!!
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