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Arte e denaro, le verità che spesso non si dicono

Creato il 22 dicembre 2014 da Nicolastoia

Arte e denaro, le verità che spesso non si dicono
...e mettila da parte

Il battitore aggiudica un'opera in asta
È inutile negarlo e continuare a far finta che non sia vero: se oggi ogni tanto l’arte ottiene ancora i riflettori del palco mediatico, non è certo per il genio di un’artista o di un astro nascente, quanto per le quotazioni che le sue opere raggiungono.

Tanto è vero che quando c’è un record d’asta, si parla sempre e solo del prezzo, mai dell’opera e del suo significato, indipendentemente dal fatto che l’autore sia Monet, Picasso, Francis Bacon o Jeff Koons.

Per capire le cifre astronomiche che girano attorno al mondo dell’arte e che fanno tanto scalpore, non dobbiamo dimenticare due cose:

    1. I bravi artisti si sono sempre fatti pagare e anche tanto
    2. Viviamo in un’epoca in cui l’economia ha vinto e si è impossessata di tutto

1. Arte e denaro un connubio vecchio secoli

Arte e denaro hanno sempre camminato fianco a fianco. L’arte dell’epoca moderna si è sviluppata con più forza in quei paesi in cui non era solo il fermento culturale a essere ricco, ma anche il denaro vero e proprio girava in abbondanza. Nell’Italia del Rinascimento, nell’Olanda della seconda metà del 1600, nella Francia della Belle Époque e nell’America del dopoguerra, agli artisti, oltre a grandi commissioni e riconoscimenti, erano assicurati anche lauti compensi.

Stati ricchi quindi, che diventavano direttamente o indirettamente mecenati e protettori delle arti tutte. Non poteva essere diversamente d’altronde, dato che il prodotto del fare artistico è un bene superfluo, non necessario, e solo classi dirigenti di società nelle quali tutti gli altri bisogni erano per lo più soddisfatti potevano permettersi di sostenere una classe “non produttiva” come quella degli artisti.

Tanto è vero che l’arte è sempre stata un’attività per ricchi (papi, imperatore, re, aristocratici) che solo di riflesso si volgeva al resto della popolazione. Anche vederla come forma di investimento non è cosa nuova se, come citato da Nicola Maggi in un articolo del suo blog, già nel 1200 il critico Ts’ai Tao scriveva: «L’amore e la gioia per l’arte sono diventati una moda e le opere d’arte sono ovunque considerate alla stregua di merci e investimenti. Questo il diavolo della nostra epoca».

Cambiano gli artisti, cambia il pubblico ma…

Nulla è cambiato quindi, oggi come allora il denaro associato al mondo dell’arte è visto come un male. Gli artisti devono essere poveri e maledetti e lavorare per la gloria che arriverà solo a morte giunta. Peccato che questo sia vero solo per una percentuale piccolissima di protagonisti della storia dell’arte. Tiziano era così ricco, famoso e rispettato che addirittura l’imperatore Carlo V in persona (l’uomo che regnava su un impero in cui non sorgeva mai il sole, per intenderci) si inchinò per raccogliere un pennello caduto al maestro.


Arte e denaro, le verità che spesso non si dicono
Andrea Mantegna il giorno in cui morì possedeva case e terreni di gran valore. Per non parlare di Michelangelo, uno degli artisti più ricchi del suo tempo, grande nel creare arte quanto nell’accumulare denari come è stato dimostrato dalla ricerca svolta dallo studioso Rab Hatfield pubblicata con il titolo “The wealth of Michelangelo” (un ottimo libro che racchiude tante curiosità sui pittori italiani del Rinascimento e sul loro rapporto con il denaro).

Per tornare agli artisti, se Caravaggio non ha mai vissuto un’esistenza agiata è dovuto solo al suo carattere indocile e aggressivo che lo ha costretto a fuggire in lungo e largo per l’Italia vivendo come un fuggiasco: i suoi lavori, richiesti da grandi e influenti personaggi come il Cardinale Barbierini, erano ben ricompensati.

Avvicinandoci sempre di più ai nostri tempi andiamo incontro a una delle più grandi e false legende relative alla storia dell’arte, quella che vuole gli impressionisti poveri, incompresi e morti in miseria: a parte il fatto che nessuno di loro è mai stato povero per il semplice fatto che appartenevano tutti, ad eccezione di Renoir, a famiglie benestanti. Comunque sia tutti gli impressionisti sono diventati ricchi e famosi grazie alla loro pittura. Molto probabilmente anche Van Gogh stesso se non fosse morto così giovane avrebbe conosciuto il successo.

Van Gogh, uno degli artisti maledetti
Se poi pensiamo a Picasso o Dalì, possiamo sicuramente affermare che non morirono certo in disgrazia. Da dove arriva allora questa credenza comune che vuole l’artista povero e maledetto, dedito solo a creare i propri lavori per la gloria e non per alcun guadagno?

Il mito romantico dell’artista maledetto

Bastarono pochissimi anni per creare e coltivare un mito che si è poi talmente radicato da giungere inalterato fino ai giorni nostri: quello dell’artista povero e maledetto che vive e si nutre esclusivamente di emozioni e pittura.

Nella prima metà dell’800 nasce la figura del genio incompreso, rifiutato dalla società e che della società rifiuta regole e valori, che conduce una vita autodistruttiva e che muore prima che il suo valore venga riconosciuto. È il Romanticismo, un movimento a mio parere mediocre il cui lascito più grande alla storia dell’arte è stato appunto questo stupido e falso retaggio causa delle più grandi incomprensione di oggi verso l’arte contemporanea.

D’altronde i numeri parlano chiaro: quanti sarebbero questi artisti maledetti? Così su due piedi mi vengono in mente solo i nomi di Van Gogh e di Modigliani, due artisti importantissimi ma che fanno grande presa sul pubblico più per il fascino delle loro vite “spericolate”, come direbbe il buon vecchio Vasco, che per il pensiero trasmesso dalle loro opere. Eppure questo è un retaggio che ha messo radici talmente profonde che a fatica riusciamo ad accettare che un artista possa guadagnare e diventare ricco vendendo i propri lavori.

Di arte si vive e con l’arte si mangia

Fare l’artista è un lavoro come un altro, per certi versi forse più affascinate ma è comunque un lavoro. Gli artisti dedicano energia e ore della propria giornata per regalare un po’ di bellezza a questo mondo, perché non dovrebbero essere pagati dato che, come ogni professionista che si rispetta, versano anche i loro bei tributi allo stato?

Nel rinascimento esistevano tabelle di prezzo che indicavano con certezza quanto sarebbe dovuto essere ricompensato un lavoro: più figure comparivano nel dipinto, più aumentava il prezzo. Gli artisti non producevano spinti dall’ispirazione: tutte le opere che vediamo appese nei vari musei del mondo erano lavori innanzitutto commissionati da qualcuno e che dovevano seguire determinati canoni. Solo in seguito poteva capitare che il talento di un genio ci mettesse del proprio e creasse quei capolavori che ancora oggi possiamo ammirare.

Si lavorava comunque innanzitutto per una retribuzione, non per esclusivo piacere personale. Oggi è uguale. Gli artisti lavorano per esprimere se stessi è vero, ma hanno bisogno di essere pagati anche perché altrimenti sarebbero costretti a procurarsi il sostentamento con altri mezzi e questo toglierebbe tempo alla loro arte. Che poi alcuni artisti abbiamo raggiunto quotazioni astronomiche è un altro discorso.

2. L’economia si è impossessata dell’arte

Si, l’economia ha vinto su tutto non possiamo far finta di niente. Mentre nel Medioevo era la religione ad avere la meglio sulla vita e sull’arte, nel Rinascimento tutto era fondato sullo studio dell’Uomo e la parola chiave dell’Illuminismo era “Ragione”, oggi l’Economia è ciò che guida la nostra società. E dato che l’arte riflette sempre se non addirittura anticipa ciò che la società produce, in un mondo in cui non si fa altro che parlare di spread, bilanci, indici, ecc., l’economia non poteva non diventare protagonista anche nell’arte.

Un uomo pensa ai soldi e cerca di prenderli con una calamita
Questo non vuol dire però che viene meno il valore degli artisti e della loro opera. Bisogna sempre tenere bene in mente che prezzo e valore sono due cose diverse che non sempre combaciano. Ci sono artisti che costano poco e che valgono tanto, come ci sono artisti che hanno raggiunto quotazioni altissime ma le cui opere non hanno un valore poi così grande.

Non dobbiamo giudicare grande un’artista solo per il prezzo che le sue opere raggiungono come non dobbiamo fare l’errore di classificare alla stregua di una speculazione finanziaria un’opera che ha un prezzo esorbitante. Anche là dove i prezzi sono evidentemente gonfiati dal mercato, non ci si dovrebbe far distrarre dall’indignazione ma sforzarsi di comprendere quello che l’opera vuole trasmettere.

Lasciati da parte i pregiudizi potremmo trovarci di fronte a piacevoli sorprese sia davanti a un opera valutata poche migliaia di euro, sia davanti a un’altra valutata milioni di dollari.

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...e mettila da parte - discussioni e litigi sul mondo dell'arte.


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