Il celebre concerto dei Beatles sul tetto degli studi Apple di Savile Row di Londra, ultima esibizione live del quartetto di Liverpool, che pochi mesi dopo si sarebbe di fatto sciolto, travolto da un successo troppo grande per non mettere a dura prova l’equilibrio psichico dei baronetti, già sfibrato dai frequenti litigi, dalle incomprensioni, dalle tappe serrate della loro ascesa nell’empireo della musica. La folle, euforica, coloratissima moltitudine di ragazzi e ragazze a gridare la propria gioia di vivere sull’erba e il fango di Woodstock, durante quello storico festival chiusosi con l’esibizione di Jimi Hendrix e con le note distorte della sua chitarra che si levavano alte, al di sopra delle teste delle poche migliaia di persone rimaste (l’esibizione, prevista per la mezzanotte della domenica, si svolse alle nove del lunedì mattina, quando la maggior parte degli spettatori se n’era ormai andata), in una versione dell’inno americano entrata nel mito. Due eventi epocali per la storia della musica, due immagini simbolo del decennio che si stava per chiudere. Era il 1969; erano le fasi conclusive di un periodo che aveva elevato a livello di ideale la gioia di essere giovani, un decennio ingenuo e colorato, scandito dalle utopie della pace, della fratellanza, dell’amore. Di quell’amore universale che era stato celebrato a San Francisco durante un’intera estate, in quella spontanea consacrazione della controcultura hippie che fu la “Summer of Love” del 1967.
E uno dei più celebri manifesti dell’amore accoglie i visitatori della mostra “LIVE! L’Arte Incontra il Rock”, inaugurata il 21 maggio scorso presso il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato: un grande arazzo, raffigurante l’opera Love di Robert Indiana (1964), si distende accanto alla porta che immette nella prima sala. L’esposizione, curata da Luca Beatrice e Marco Bazzini, che prende avvio proprio dal 1969, anno fondamentale per lo sviluppo della dimensione live del rock, si pone l’ambizioso obiettivo di analizzare la reciproca influenza tra il mondo della musica (esaminata soprattutto nella sua dimensione visiva) e quello dell’arte, avvicinati dalla comune dimensione della performance dal vivo, sia essa un concerto o un’esposizione.
Un percorso ricco di suggestioni, articolato attraverso numerose fotografie, stampe, copertine di dischi, filmati, installazioni, locandine, libri, sculture, riviste, oggetti vari (tra cui una chitarra appartenuta ad Eric Clapton e la Fender Stratocaster di Jimi Hendrix), ripercorre sala dopo sala il cammino compiuto parallelamente dall’arte e dalla musica nell’arco cronologico degli ultimi quarant’anni. Dopo i raduni oceanici di Woodstock e dell’Isola di Wight (tenuto per soli tre anni, dal 1968 al 1970, e poi sospeso, fino alla riapertura del 2002), protagonisti della prima parte della mostra (nella quale, ovviamente, non mancano riferimenti ai Beatles e ai Rolling Stones), si susseguono, con poche incursioni nel panorama musicale italiano (Renato Zero e Vasco Rossi), tanto per citarne alcuni, i Nirvana, i Blur, i Pink Floyd, gli U2, i Radiohead, gli Oasis, David Bowie. Quest’ultimo, ad esempio, è presente sia attraverso la proiezione del concerto che vide il cantante inglese calarsi nella parte dell’alieno Ziggy, filmato da D. A. Pennebaker, sia con la copertina del suo primo album (Space Oddity, 1969), che ha fortemente influenzato un dipinto optical di Victor Vasarely (Nefeleys 2, 1971).
Né mancano riferimenti a quell’estetica del “brutto”, che anche nell’arte ha avuto un’importanza non certo marginale (si pensi al fenomeno della bad painting), che vide come protagonisti principali i Sex Pistols, i quali, in appena diciotto mesi di attività e solamente con un album al loro attivo (Never Mind the Bollocks), hanno lasciato una traccia indelebile nella storia della musica, anche grazie all’immagine creata attorno alla band dall’artista britannico Jamie Reid, al quale si deve tra l’altro la copertina del disco. A dire il vero, nel percorso espositivo si sentono alcune mancanze, tra le quali quella dei Queen, che hanno fondato parte della loro carriera musicale proprio sullo spettacolo live (come non pensare alla chiusura del doppio concerto al Wembley Stadium dell’11 e 12 luglio 1986, quando Freddy Mercury si presentò ad una platea entusiasta con scettro, mantello e corona, sulle note dell’inno inglese).
Altro fenomeno di cui si percepisce fortemente l’assenza è poi quello di Lou Reed e della sua band degli inizi: sebbene la celeberrima copertina di The Velvet Underground & Nico, dovuta come è noto ad Andy Warhol, non rientri nell’arco cronologico al centro dell’esposizione (l’album uscì nel 1967), un accenno all’argomento sarebbe stato probabilmente auspicabile, anche dal momento che gli stessi curatori si sono mostrati consci del ruolo ricoperto da questo disco nella storia della musica e dell’arte. In una delle due introduzioni al catalogo della mostra, edito da Rizzoli, Luca Beatrice, sostenendo che l’anno di inizio del rapporto tra arte e musica sia il 1967, porta come esempio proprio la celebre copertina di Warhol (oltre a quella di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, di Peter Blake, fondatore della frangia inglese della pop art).
L’esposizione si chiude con la proiezione di una classifica stilata da MTV relativa ai migliori pezzi rock di sempre; l’emittente cominciò le trasmissioni il primo agosto 1981, con il lancio del videoclip come fenomeno di massa (la programmazione prese avvio, significativamente, con Video Killed the Radio Star dei Buggles): le immagini, i live, la dimensione visibile della musica, da questo momento in poi, diventano accessibili a tutti, in qualunque parte del mondo e in qualsiasi momento, solo accendendo la televisione. Il mondo della musica e quello dell’arte, anche in virtù di questa piccola rivoluzione, non saranno più gli stessi: il 13 luglio 1985 Bob Geldof, allo scopo di raccogliere fondi da destinarsi a progetti umanitari in Africa, organizzò il primo concerto “globale”, iniziato a Londra e conclusosi a Filadelfia, messe in collegamento dal tubo catodico; nello stesso anno il filosofo Jean-François Lyotard allestì al Centro Georges Pompidou di Parigi una mostra, Les immatériaux, in cui i video musicali vennero esposti come prodotti d’arte. Il ruolo che l’era di internet sta avendo in questi anni nella storia della musica (YouTube, concerti in streaming, download selvaggio, etc.) è invece ancora tutto, o quasi, da scrivere.
LIVE! L’ARTE INCONTRA IL ROCK
a cura di Marco Bazzini e Luca Beatrice
dal 21 maggio al 7 agosto 2011
tutti i giorni (chiuso il martedì) ore 16-23
ingresso libero
CENTRO PER L’ARTE CONTEMPORANEA LUIGI PECCI
Viale della Repubblica, 277 – Prato
Tel. +39 0574 5317 – www.centropecci.it