Arte ed emozione: come sprecare un’ottima occasione davanti a un quadro
...e mettila da parte
So bene che con l’articolo di oggi mi sto per incamminare su un terreno impervio e sto per affrontare un argomento molto delicato, ma è da un po’ che sento il bisogno di fare chiarezza sul tema “arte ed emozione”. Cosa ci sarà di tanto delicato in questo tema, ti chiederai tu, è un binomio così scontato al quale c’è davvero poco da aggiungere:
Arte = emozione.
Un’equazione praticamente perfetta, giusto? Sbagliato.
È proprio questo il punto delicato.
Riporto qui quello che avevo già scritto nell’articolo I 9 (banali) luoghi comuni sull’arte (soprattutto) contemporanea:
“L’arte non è emozione, o meglio, emozionare non è la sua funzione primaria e principale. L’arte è innanzitutto pensiero. Poi può anche arrivare l’emozione, ma non necessariamente. Mentre per essere considerata un’opera d’arte, qualsiasi creazione di un artista deve contenere del pensiero, il fatto di emozionare non è una condicio sine qua non per cui si decreta lo statuto artistico di un’opera.”
Si capisce quindi come io non sia per niente d’accordo con l’equazione di partenza e in questo articolo spiegherò il perché. Per evitare qualsiasi equivoco, voglio chiarire subito che con quello che andrò a scrivere di seguito non voglio assolutamente dire che è sbagliato emozionarsi davanti a un dipinto, al contrario: ridi, piangi, urla, arrabbiati, offenditi, fai di tutto davanti a un quadro, fuorché rimanere indifferente.
C’è solo una cosa che dovresti assolutamente evitare: confondere il valore di un’opera con l’emozione che essa fa nascere in te.
“Non mi emoziona quindi non è arte!” è il più grande equivoco e il più banale errore di giudizio che si può compiere davanti a un’opera d’arte.
Emozione, cattiva maestra
Partiamo dal principio: fin troppo spesso mi è capitato di discutere con amici sul valore artistico delle opere di certi artisti contemporanei o comunque del ventesimo secolo. Questo tipo di incomprensioni partono infatti più o meno sempre con le avanguardie, per l’arte precedente dubbi non esistono.
Per fare un esempio pratico scegliamo un artista che è spesso protagonista della diatriba “è arte – non è arte”, Lucio Fontana, la cui figura catalizza feroci critiche anche per le enormi, e per molti inconcepibili, quotazioni che le sue opere raggiungono. L’accusa più utilizzata dai suoi detrattori, oltre alla classica “lo potevo fare anch’io”, è, appunto: “Non è arte perché non mi emoziona”. Capirai bene che ragionando in questa maniera ci si infila in un vicolo cieco dal quale diventa impossibile uscire: l’emozione è qualcosa di estremamente personale e come si fa a decretare lo statuto di opera d’arte seguendo principi prettamente soggettivi?
Facciamo un esempio banale: prendiamo due persone, Marta nata in un caratteristico paesino delle Alpi e Giorgia su un’isola del Mediterraneo. L’infanzia di entrambe è segnata da esperienze, ricordi ed emozioni legate anche inevitabilmente all’ambiente nel quale hanno passato la loro infanzia. Cresciute e trasferitesi a vivere in città, si conoscono e un bel giorno, in visita a una mostra, si trovano davanti a un dipinto raffigurante un maestoso paesaggio di montagna. Ovviamente Marta ne è affascinata: un insieme di ricordi e di emozioni le si affollano nel cuore. Rimane incollata al dipinto, non riesce a staccare gli occhi dal quadro. Giorgia invece passa avanti del tutto indifferente, a lei la neve non provoca nessuna reazione, per lei quella non è arte. Però quando scorge un dipinto raffigurante una bella marina, i ruoli si invertono ed è lei ad essere ipnotizzata, mentre Marta non si accorge neanche del dipinto. Le due ragazze stanno giudicando le due opere attraverso il filtro delle loro emozioni, quindi ciò che è arte per una, può non essere arte per l’altra.Oltre ogni giudizio personale
Qual è dunque quella caratteristica unica e sopra le parti, intrinseca in ogni opera d’arte e che oggettivamente (per quanto possibile) può permetterci di goderne la grandezza indipendentemente dai nostri gusti, ricordi o
sensazioni personali? Sicuramente il pensiero.
Non mi stancherò mai di dirlo, lo scopo di un’opera d’arte non è quello di farci emozionare, ma quello di farci ragionare, l’emozione è solo una conseguenza.
Cosa rende grande una persona e la pone un gradino sopra agli altri, forse la sua capacità di emozionarsi? La storia ci racconta per caso la vita e le gesta di personaggi che sapevano emozionarsi più e meglio degli altri? Direi proprio di no.
Mi dispiace deluderti, ma se sei una di quelle persone che vive credendo di essere superiore agli altri perché possiede un cuore sensibilissimo, dolce e delicato, forse ti stai un po’ illudendo. È sempre stata la capacità di pensare e di ragionare, non di emozionarsi, quella che ha contraddistinto un uomo da un altro e che ha portato l’umanità a certi alti livelli. D’altronde, pensiamoci bene, tutti si emozionano, anche le persone che in apparenza sembrano più fredde provano delle emozioni che probabilmente per loro sono persino fortissime. Questo perché emozione è vita e chiunque respiri e muova i passi su questa terra non può non provarne.
Anche il mio gatto si emoziona, quando torno a casa, quando gli do da mangiare o quando lo accarezzo. Non è quindi l’emozione che ci differenzia dagli animali, ma ancora una volta il pensiero e l’arte, essendo la più alta delle espressioni umane non può che essere manifestazione del pensiero, non dell’emozione.
Artisti ed emozioni
E Van Gogh allora, non esprimeva le sue emozioni sulla tela?!
Sì certo, lo faceva, come in generale lo fanno tutti i pittori così detti “espressionisti”. Ma ti chiedo, hai mai letto “Lettere a Theo”, la raccolta di lettere, appunto, che in vent’anni Van Gogh ha scritto quasi quotidianamente al fratello? Se non l’hai letto te lo consiglio, è un libro molto interessante che permette di capire più a fondo il lavoro di questo grande artista da molti considerato matto. Sai qual è la cosa più sorprendente che viene fuori da questi scritti?Leggendo ti accorgi di come questo rozzo olandese non fosse poi uno sprovveduto ma, al contrario, fosse un grandissimo conoscitore della pittura. Van Gogh aveva un credo estetico molto sviluppato e l’emozione espressa dai suoi quadri è filtrata da un pensiero profondo e da una conoscenza dei colori, dell’arte e della pittura in generale, fuori dal comune.
Bisogna dire due cose importanti su arte ed emozione:
- Ci sono periodi storici e correnti artistiche per le quali il binomio arte ed emozione funziona alla perfezione: in determinate opere, l’emozione del fruitore prende esplicitamente parte al significato dell’opera. Ho già accennato alle varie forme di espressionismo, ma pensiamo anche a tutta l’arte barocca che aveva come obiettivo quello di dare risalto alla grandezza della Chiesa e lo faceva cercando di toccare le corde emotive dello spettatore. Oppure prendiamo in considerazione i lavori di Mark Rothko che sono il tentativo di smuovere le emozioni di chi si ferma in loro contemplazione. Oppure ancora, possiamo parlare di Marina Abramović, le cui performance suscitano sicuramente forti reazioni emotive nello spettatore. Ci sono invece artisti a cui il lato emotivo dello spettatore interessa meno: pensiamo a Piet Mondrian, ad Joseph Alberts, a Marcel Duchamp, ecc. Questi artisti cercano di dialogare quasi esclusivamente sul piano intellettuale con l’osservatore, cercano di stimolare il loro pensiero piuttosto che le loro emozioni. Per quanto sicuramente più celebrale, non è arte anche questa?
- Tutti gli artisti quando creano le loro opere provano emozioni. Non solo Van Gogh, Munch o Rothko, anche Lucio Fontana, Enrico Castellani, Piet Mondrian, per quanto le loro opere possano sembrare più fredde, sono emotivamente impegnati durante il processo creativo. Non c’è alcuna differenza da questo punto di vista. D’altronde, sempre per il motivo di cui accennavo prima, cioè che l’emozione è strettamente legata alla vita, anche tu, qualsiasi sia il tuo lavoro, proverai una qualche emozione nel compierlo, positiva o negativa che sia (se così non fosse, fatti qualche domanda, forse è arrivato il momento di cambiarlo). Quindi in ogni opera, che ti piaccia o no, vi è sempre un po’ dell’emozione dell’artista. Quello che la rende grande rispetto ad altre è e rimane però sempre il pensiero da essa espresso.
È arte o è artigianato?
Può il ritratto di un bambino che piange emozionare? Senz’altro.
Che sia frutto del lavoro del più grande artista del mondo o che sia opera di un pittore della domenica, il soggetto è di per sé commovente. Quindi, se entrambe le tele, quella di un artista e quella di un “arti
giano”, hanno la capacità di emozionare, non è sicuramente questa la caratteristica che apre le porte della storia dell’arte al primo e che lascia nell’ambito ristretto dell’artigianato il secondo.Sarà allora la tecnica? Neanche, ho visto tanti artigiani possedere una tecnica del tutto invidiabile e per certi aspetti, per esempio se si guarda l’aderenza alla realtà, si potrebbe anche dire superiore a quella di grandi maestri come Van Gogh o Renoir. Anzi forse è proprio l’aver affinato e risolto solamente i problemi tecnici della creazione, la caratteristica tipica dell’artigianato.
L’arte è un’altra cosa, non è semplice capacità tecnica come non è semplice emozione. Arte è un processo creativo in grado di dare vita a opere che sono il frutto dell’ingegno umano e che contribuiscono alla crescita intellettuale di tutti gli uomini.
La pubblicità deve emozionare, l’arte deve far ragionare.
Dire che un dipinto deve obbligatoriamente emozionare, vuol dire porlo sullo stesso piano di un cartellone pubblicitario.
Lo scopo della pubblicità è senza dubbio emozionare. Chi, come me, viene dal mondo del marketing sa benissimo che non è con un ragionamento razionale che si vende un prodotto, ma piuttosto parlando alla pancia delle persone, provocando loro emozioni. Non è descrivendo nel dettaglio le fredde specifiche tecniche dell’iPhone che la Apple ha venduto milioni e milioni di telefonini, ma costruendo e comunicando uno stile di vita e un modo di pensare che ha fatto presa sulle emozioni di milioni e milioni di persone.L’obiettivo finale della pubblicità è vendere: un prodotto, un servizio, un’idea, un partito politico. L’obiettivo finale dell’arte è far ragionare. L’arte è innanzitutto conoscenza e, per quanto da un certo punto di vista anch’essa sia strettamente legata alla vendita, non è quello l’obiettivo primario che un’artista si pone quando si mette al lavoro. L’artista interpreta la realtà, esprime un pensiero, contribuisce a formare una coscienza. La vera arte ci insegna ad avere idee proprie, a costruire un personale pensiero critico.
La pubblicità non vuole farci pensare. Se ci fermiamo troppo a ragionare, non spenderemo mai i soldi guadagnati con sudore e fatica per portarci a casa oggetti inutili che non ci servono veramente e che molto probabilmente non utilizzeremo mai. Per questo parla e gioca con le nostre emozioni e non al nostro cervello.
Lo stesso discorso lo possiamo fare per i politici: parlano alle nostre teste o piuttosto cercano di colpire le nostre pance? Direi senza alcun dubbio la seconda, basta ascoltare i discorsi di Berlusconi, di Renzi o del nuovo candidato alla presidenza degli Stati Uniti, Donal Trump, solo per citare i più bravi in questo.
L’ultima cosa che un politico (non tutti, ma molti sì) vuole, è avere dei sudditi pensanti, sarebbe troppo rischioso. Per questo fanno di tutto per relegare l’arte in un angolo, nella sfera delle emozioni: essa darebbe un grosso scossone che sveglierebbe le coscienze di molti, se fruita con occhi e mente aperta, mentre loro ci vogliono tenere addormentati, non vogliono farci ragionare con la nostra testa.
Arte ed emozione, forse non è solo questo
Se l’arte fosse davvero solo emozione, non esisterebbe l’ormai decennale problema dei musei vuoti. Le loro enormi sale sarebbero sempre e costantemente affollate di gente, un po’ come gli stadi la domenica pomeriggio. Di gente addormentata ma comunque pagante.
Invece la realtà è diversa e anche le mostre o i musei che raccolgono i capolavori Rinascimentali, l’arte per eccellenza, quella che emoziona davvero, non sempre riescono ad attirare un gran numero di persone. Dove sono qui tutte quelle persone che dicono che l’arte deve emozionare?
Semplicemente sono a cercare emozioni altrove e lo trovo anche logico, anch’io quando voglio emozionarmi non mi chiudo certo nella quattro mura di un museo: piuttosto gioco con le mie nipotine, organizzo una sciata in montagna, faccio una passeggiata in riva al mare, vado a un concerto, esco con gli amici o con le persone che amo. Guarda, se mi piacesse ancora il calcio, arrivo addirittura a dirti che piuttosto andrei allo stadio a vedere una partita.
Se decido di passare un pomeriggio in un museo, non lo faccio certo con l’intenzione di trascorrere la giornata più emozionante della mia vita. L’obiettivo è quello di arricchirmi, di nutrire occhi e mente.
Allora tu non ti emozioni mai davanti a un’opera?!
Al contrario, mi emoziono quasi sempre. Per me l’arte è sorgente di grandissime emozioni, se così non fosse non perderei tempo e soldi per visitare mostre, gallerie, fiere, leggere libri per informarmi e soprattutto per scrivere gli articoli di questo blog.
L’arte per me è una grandissima fonte di emozione, ma è un’emozione che ha un forte legame con il pensiero. Mi viene in mente una citazione di Robert R. Kiyosaki: “Bisogna usare le emozioni per pensare, non pensare spinti dalle emozioni.”
Forse nell’arte funziona un po’ così o forse no.
La cosa certa è che non bisognerebbe mai giudicare un quadro dall’emozione che suscita in noi.
Arte ed emozione: come sprecare un’ottima occasione davanti a un quadro
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