Sarà possibile visitare fino all’8 gennaio 2012 al MAXXI di Roma Omaggio all’Arte Povera, una mostra che si basa sulle opere degli artisti Jannis Kounellis e Gilberto Zorio, all’interno di Arte Povera, una serie di eventi curati da Germano Celant.
L’esposizione, organizzata in occasione dei festeggiamenti dei 150 anni dell’Unità di Italia, vuole mettere in mostra le opere di questa corrente artistica nata in Italia a metà degli anni ’60 del XX secolo, tra i cui artisti spicca Giuseppe Penone.
L’arte povera nasce come un movimento artistico che cerca un’uscita all’arte commerciale e che si pone in netta contrapposizione con il minimalismo e l’arte pop; per esprimersi utilizza quindi materiali semplici, come il legno, le foglie, la terra, gli scarti industriali… Cerca la partecipazione del pubblico, che si deve immergere nell’arte per comprenderla, e quindi fa largo uso di installazioni e azioni performative.
Giuseppe Penone nasce a Garesio nel 1947. Studia a Torino e in seguito diventa professore nell’Accademia delle Belle Arti a Parigi. Il suo lavoro è legato alla natura, in specifico agli alberi, e al suo attaccamento alla terra. In essi identifica un sistema di vita simile a quella umana perché nascono, procreano e muoiono come l’essere umano. Si domanda se la terra può assimilare ed esprimere l’essere umano. E lungo il suo percorso artistico continua a interrogarsi sulla terra, intesa come una sostanza universale. Sin dalle sue prime opere degli anni ’60, si nota il protagonismo assoluto della natura. La sua opera più famosa è Alberi.
Jannis Kounellis nasce nel Pireo, in Grecia, nel 1936. Studia all’Accademia delle Belle Arti a Roma. Sin dai primi tempi si rivela essere l’enfant terrible dell’arte manifestando una forte urgenza comunicativa e imponendo limiti all’accademia e alla critica. Nel 1963 comincia a utilizzare nelle sue opere materiali poco convenzionali come animali vivi, fuoco, terra, tele, ecc. Si burla dei limiti utilizzando come cornici quelle delle finestre, delle porte e dei letti. Nel 1967 si unisce al movimento dell’arte povera e due anni più tardi desta scandalo utilizzando cavalli vivi per sua esposizione nella Galleria l’Attico a Roma.
Gilberto Zorio nasce ad Adorno nel 1944. È conosciuto per le sue sculture fatte di materiali riciclati e nonostante non facesse parte del movimento dell’arte povera, vi si avvicina molto. Le sue opere esposte fanno parte della collezione d’arte del Comodato UniCredit, date in gentile concessione al MAXXI per questa mostra che riscopre il lavoro di questi tre grandi artisti contemporanei della scena italiana.
Per maggiori informazioni http://www.fondazionemaxxi.it/?p=11748
Nancy GuzmanUn ottimo modo per alleviare lo stress di fine anno è affittare uno dei nostri appartamenti a Roma e concedersi una settimana tra i monumenti e i musei di Roma, tra cui il MAXXI.
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COMMENTI (1)
Inviato il 13 maggio a 22:26
L'operazione-evento “Arte Povera 2011”, che doveva costituire un importante momento di documentazione e storicizzazione di un movimento che giustamente è considerato con il Futurismo di fondamentale importanza nell'avventura delle arti visive del secolo passato, rischia di ottenere effetti opposti. E non solo a causa di due errori (o falsi) storico-critici: l'estensione forzata e forzosa fino ai nostri giorni di un movimento conclusosi all'inizio degli anni '70 e la sua limitazione a soli ed esclusivi 13 protagonisti. Errori (o falsi) tanto evidenti da destare stupore (a chi non sia addentro all'odierno sistema dell'arte in Italia) che il fior fiore dei direttori di musei e istituzioni di arte contemporanea coinvolti nell'operazione ed il fior fiore dei critici raccolti nell'enorme catalogo che accompagna la mostra non se ne siano minimamente accorti. Ma tant'è! Se si esaminano le mostre in corso e si leggono i contributi critici del catalogo appare evidente che vi sia un tentativo diffuso di far passare come elemento fondante, quando non esclusivo, dell'Arte Povera quello dell'uso di materiali poveri (visti e declinati in tutte le loro funzioni poetiche, estetiche, concettuali, oniriche ecc). Ora, se è innegabile che l'uso di materiali poveri (considerati soprattutto, molto concretamente, come portatori di una visione poveristica anticonsumistica) fosse UNA delle caratteristiche di questo movimento, è altrettanto innegabile che accanto a questa ve ne erano altre della stessa importanza e fondanti: la critica al ruolo e alla funzione della figura dell'artista quale “giullare” del sistema dell'arte basato sul mercato e la critica al sistema di produzione e diffusione dell'arte (allora e tuttora) vigente attraverso gallerie e musei, con la conseguente ricerca di nuovi ed “altri” circuiti di comunicazione e di nuovi ed altri utenti individuati in primo luogo nelle classi e categorie sociali protagoniste del grande cambiamento in atto in quegli anni. Da quest'insieme di caratteri deriva la forte spinta antiistituzionale di una forma artistica che non a caso veniva apertamente definita, nel primo e più significativo manifesto, come “Arte di guerriglia”. Tutte caratteristiche che oltre ad essere, come visto, ben presenti nei testi critici erano soprattutto presenti nelle opere e nell'operare anche dei nostri, o meglio celantiani, “magnifici tredici”. Il tentativo di mistificare e svuotare l'Arte Povera dei suoi significati primari, riducendola da complessa arte di guerriglia a innocua merce da aste, è pienamente confermato poi nelle scelte espositive con cui, almeno nelle principali mostre di Milano, Bologna e Torino, rispetto a una possibile ipotesi di museizzazione, si è scelto la via della museificazione. Vale a dire, la acritica e meccanica trasposizione in spazi rigidi di opere spesso nate per vivere ed essere fruite fuori da gallerie e musei. Opere spesso nate per essere interattive e coinvolgenti, per essere strumento performativo, per essere toccate, usate, a volte anche distrutte costrette in rigidi spazi museali dove, per ragioni di principio o di sicurezza, non possono essere pienamente fruite e utilizzate, ma nemmeno toccate subendo una straniante decontestualizzazione ambientale e storica con un'operazione di re-aurizzazione che contravviene in pieno al loro spirito iniziale. Certamente il problema della museizzazione, e in generale della esposizione delle opere storiche dell'Arte Povera, è complesso e di difficile soluzione. Ma il negarlo, il non prenderlo minimamente in considerazione, il non affrontarlo con corrette scelte filologico-espositive nell'allestimento della maggioranza delle mostre di “Arte Povera “2011”, il far languire in spazi e situazioni inadatte opere nate per interagire e vivere assieme al fruitore è , a mio avviso, un ulteriore errore imperdonabile che va a completare un'operazione tesa al progressivo svuotamento dell'Arte Povera a favore di una sua re-aurizzazione che risulta funzionale non tanto alla ricerca e alla sistematizzazione storica e critica quanto a una banale reificazione. Il re (o il critico o i critici demiurghi) è nudo. Possibile che nessuno (o pochi) se ne accorga?
gennaio 2012