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ARTE: Ventuno opere di Adele Lo Feudo sul cimitero monumentale di Perugia

Creato il 09 febbraio 2015 da Goodmorningumbria @goodmrnngumbria
Adele Lo Feudo

Adele Lo Feudo

Ventuno opere sul cimitero monumentale di Perugia, esposte ad Arezzo nel novembre 2014.

La frase “qui non si muore” di Gioacchino Murat è stata scelta per farne un inno alla vita ed ai valori. Qui non si muore.  Il titolo della galleria di Adele Lo Feudo, “Qui non si muore”, nella sua accezione più alta e più profonda, è indissolubilmente legato al contesto ideologico, estetico, plastico del cimitero comunale di Perugia, dove vengono interpretate in chiave pittorica le tematiche della vita e della morte.
Legame - 2013 - acrilico su tela - 60 x 50

Legame – 2013 – acrilico su tela – 60 x 50

Ma le immagini di Lo Feudo non rientrano nell’ottica del “docere delectando” o da atteggiamenti patetici e malinconici, tenerezze sentimentali volte alla capacità di commozione sul genere “ larmoyant”. I pannelli di Lo Feudo si distinguono soprattutto per la capacità di sovrapporre l’opera d’arte (generata, per Hegel, dallo spirito assoluto e sua diretta manifestazione) alla banalità del luogo comune. Il cimitero pertanto opera una sorta di una conciliazione tra spirito e materia, universale e particolare, tra finito e infinito, verità e realtà e in ultimo tra uomo e assoluto. I dipinti sono frammenti di un percorso, delimitato dal perimetro del cimitero di Perugia, dove – senza coinvolgere gli astanti – si mescolano asimmetria, grandiosità sbalordante di bassorilievi e statue, ordine e disordine, movimento barocco o neoclassico, plasticità ridondanti dell’ornato, mescolanze di elementi musicali e teatrali. In tali frangenti, quando luce e tenebra si incontrano nella tela, nasce lo spazio tridimensionale e metaforico nel quale presumibilmente il cimitero testimonia vita e morte, come frattura insanabile fra vita ideale e realtà empirica. Ma il titolo della mostra di Lo Feudo sembra trascendere qualsiasi misura di entropia e disordine: il modo verbale della frase “Qui non si

L'Amore va oltre - 2013, acrilico su tela 110 x 70

L’Amore va oltre – 2013, acrilico su tela 110 x 70

muore” nasconde una sottile ambiguità pragmatica, in quanto può sottintendere sia un’asserzione (nel modo indicatico, come frutto di una deduzione), sia un divieto (nel modo imperativo, in maniera più o meno perentoria,). “Qui non si muore” provoca lo stato d’animo forse più tipico del romanticismo: la profonda insoddisfazione del presente, che forse Lo Feudo espone con una traccia di malinconia. Ricordo un bambino di otto anni che nello stesso cimitero di Perugia, insieme al padre, andava spesso a “visitare” sua madre, precocemente scomparsa. L’avvenimento suscitava sempre nel bambino forti emozioni, incongrue con l’ambiente sobrio e sepolcrale. Correva a depositare dieci lire nella cassa del custode ed afferrare il secchiello, riempirlo d’acqua, e poi, munito di scopetto e qualche margherita, si avviava, euforico, nei vasti meandri dedicati alla morte, nei quattrocento metri che dal cancello lo separavano da sua madre. Il percorso era un labirinto monocursale, tratteggiato da aiuole variopinte e fantomatiche proiezioni di volti e forme angeliche di marmo, granito, bronzo e ghisa, le stesse che Lo Feudo ha voluto riprodurre in questi ventuno magistrali dipinti, che restituiscono al cimitero comunale il loro autentico dinamismo spirituale forse smarrito nel tempo.

[Nato a Perugia, Stefano Maria Baratti vive a New York. E’ artista, saggista,sceneggiatore.]



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