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Artemide: la divinitá dei confini

Creato il 14 marzo 2012 da Ilmulinodeltempo @IlMulinodelTemp

ARTEMIDE: LA DIVINITÁ DEI CONFINI
Con Ecate abbiamo visto l’aspetto quasi demoniaco della natura tendente alla distruzione con l’obiettivo rigeneratore. Vediamo l’aspetto più luminoso della natura incarnato da Artemide, sorella di Apollo, che come lui indicava la natura estiva con la sua esplosione di luce. Data la sua identificazione con il fratello, per raggiungere la perfezione avrebbe dovuto rappresentare la Luna, in contrapposizione e completamento del sole che egli incarnava e in alcune rappresentazioni l’astro compare sotto forma di diadema, ma gli antichi sentivano che essendo una divinità della luce non poteva possedere anche significato notturno e spesso scaricarono questo lato oscuro sulla dea Ecate.
Nell’iconografia classica Artemide è raffigurata sotto forma della vergine cacciatrice in tunica corta con l’arco in mano e accompagnata spesso dai suoi cani o circondata da animali. Artemide presiede al parto, alla nascita, alla educazione dei bambini.
Il nome Artemide non è di origine greca e molto probabilmente fu il risultato della fusione con miti preellenici, come quelli di tipo orgiastico innestati in quelli della triplice dea-Luna con le sue tre fasi. Il mito orgiastico si può ricollegare in maniera diretta alla suprema Dea-Ninfa, meglio conosciuta come la cretese “signora della selvaggina”, alla quale erano sacre le quaglie, ritenute lascive e chiaro elemento sessuale di tipo orgiastico. Alcuni elementi della sua storia riportano chiaramente al mondo delle ninfe come la coppia di cerve cornute vive che catturò grazie all’arco d’argento e le frecce fabbricate dai Ciclopi e ai tre cani segugi dalle orecchie mozze e sette segugi spartani ottenute da Pan in Arcadia. L’immagine della dea-ninfa appartiene alla seconda fase della luna, quella crescente della maturità sessuale dell’Afrodite orgiastica i cui simboli erano la palma da dattero, la cerva e l’ape.

Le due cerve furono aggiogate ad un cocchio d’oro e qui si innesta il culto della Vergine dall’Arco d’Argento con chiaro riferimento alla Luna nuova che ebbe larghissima fortuna nel culto divenuto poi ufficiale dove la verginità fu uno dei caratteri salienti della dea. Il culto di Artemide si esplicò anche seguendo la fase calante della luna, quando sotto l’aspetto di vegliarda ebbe la prerogativa di assistere ai parti e di scagliare frecce. Un altro aspetto della sua storia riconducibile più ad una Ninfa che ad una Vergine è quello relativo al bagno rituale al quale assistette Atteone: l’uomo  disse ai suoi amici di aver visto Artemide esibirsi nuda ai suoi occhi senza alcun ritegno, la dea lo tramutò in cervo e fu divorato dai suoi cinquanta cani; qui l’elemento pre-ellenico è riscontrabile proprio nell’uccisione dell’uomo che si ricollega al culto del cervo dove il re sacro veniva fatto a pezzi dopo i suoi 15 mesi di regno corrispondente alla metà del Grande Anno. L’Artemide della Luna Nuova volle che le sue compagne di viaggio, le ninfe, rispettassero la castità come fece lei e punì duramente la ninfa Callisto, figlia di Licaone, quando rimase incinta di Zeus trasformandola in orsa, in seguito la uccise inconsapevolmente spinta da Era accecata di gelosia. Arcade, il figlio di Callisto, fu salvato e divenne l'antenato degli Arcadi.  In questo passo si percepisce la volontà di spiegare l’origine degli Arcadi, ma si può altresì identificare l’altro animale molto caro alla Dea, l’orso, che in alcune zone fu addirittura imitato dalle giovani donne durante la fase di apprendimento che le fanciulle dovevano affrontare per poter convivere con un uomo. Simbolicamente le bambine mimavano il lento percorso che le conduceva dallo stato selvaggio della loro natura sessuale alla civiltà della buona sposa. Anche il sesso maschile doveva sottoporsi ad una sorta di apprendistato prima di giungere all’età adulta, i ragazzi spartani, ad esempio, affrontavano un addestramento molto rigido, consistente nell’imposizione di doveri e in una successione di prove; per strada dovevano comportarsi come delle fanciulle assumendo un comportamento casto e riservato camminando a testa china e in assoluto silenzio;  per completare il percorso dovevano nel frattempo fare ciò che normalmente era proibito, come rubare alla tavola degli adulti, giocare d’astuzia, sbrogliarsela, intrufolarsi senza farsi prendere per procurarsi del cibo e durante le feroci battaglie collettive in cui erano leciti tutti i colpi, dovevano manifestare tutta la violenza brutale di cui erano capaci raggiungendo la feroce crudeltà del guerriero disposto alle atrocità più grandi pur di vincere. Non è un caso che proprio Artemide si occupasse dell’educazione degli infanti, del resto la sua particolare posizione di confine tra il selvaggio ed il domestico permetteva a questi di raggiungere l’evoluzione passando dall’informe età, dove il confine tra i due sessi non è ancora ben definito, all’età adulta. L’apprendistato avveniva di solito fuori dai centri abitati dove la natura incontaminata rappresentava meglio la Dea che sovrintendeva questo rito di passaggio. Per il mondo classico, infatti, Artemide era l’incarnazione della natura intesa come fecondità luminosa e incontaminata di luoghi solitari e rigogliosi. Non va tuttavia tralasciato un fattore molto importante, ossia che nel suo mondo si sperimenta il contatto con l’Altro, si ha contemporaneamente una contrapposizione e una coesistenza tra il selvaggio e il civilizzato, questi due elementi tendono addirittura a compenetrarsi reciprocamente. Ecco perché  Artemide è considerata la divinità dei confini, il suo spazio, infatti, si dispiega  sulle zone di frontiera come le montagne che delimitano e separano gli Stati, o in luoghi dove i confini tra terra e acqua non sono ben definiti, come le spiagge e i litorali, le pianure interne, i bordi dei laghi, i suoli paludosi e le rive di certi fiumi.  Fabrizio e Giovanna


Notizie tratte da:
Robert Graves, I MITI GRECI - Dei ed eroi in Omero
A. Morelli, DEI E MITI - enciclopedia di mitologia universale
Jean-Pierre Vernant - Pierre Vidal-Naquet, MITO E TRAGEDIA DUE - da Edipo a Dioniso

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