Ieri se ne è andato per sempre David Bowie stroncato da un cancro a 69 anni, se n’è andato uno “stato mentale” come è stato definito, un genio contemporaneo, un mito della musica mondiale definito tale non a caso, ma perchè qualunque altro aggettivo per chi come lui alla musica ha dato e lasciato capolavori senza tempo sarebbe riduttivo. Il fatto che tutti i telegiornali di tutto il mondo ne abbiano celebrato la scomparsa con ampi servizi a supporto di un cordoglio che è stato universale e ha abbracciato tutto il mondo dell’arte, dalla musica al cinema e in una concezione “globale” così come concepita da Bowie stesso che era musicista, compositore, polistrumentista, performer, attore, mimo, pittore, icona di stile, trasgressivo ma elegante mai volgare, ci costringe a prendere spunto e (ri)considerare l’uso e abuso della parola “artista” e la faciloneria con la quale viene spesso usata, soprattutto in tempi recenti e allora sorge un grande dilemma… Artisti si nasce o si diventa? O forse visto l’uso dilagante del termine basta stare ai vertici di una classifica pesantemente condizionata dalle radio e dalle discografiche impegnate nel comune intento di portare avanti mere “operazioni” commerciali in cui di artistico ci sono solo i sistemi e le strategie di marketing usate per ottenere e sbandierare successi stratosferici di cantanti appena mediocri? Per noi Bowie docet
Redazione