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Arui wa sasaki yuki (あるいは佐々木ユキ, A Fairy Tale). Regia, sceneggiatura e soggetto: Fukuma Kenji. Fotografia: Suzuki Kazuhiro. Montaggio: Hata Takeshi. Suono: Ogawa Takeshi. Produzione e distribuzione: Tough Mama. Produttore: Fukuma Keiko. Anno: 2013. Uscita nelle sale giapponesi: 12 gennaio 2013. Durata: 79’. Formato: HD
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Sasaki Yuki è una ventenne che abita alla periferia di Tokyo e che lavora part-time in un ristorante cinese ed in un negozio di fiori. Due delle persone che le sono più vicine sono Chiharu, una donna più grande di lei che fa la detective e Fuzuki Yumi, le cui poesie lasciano una profonda impressione su Yuki. Ad un certo punto un’altra Sasaki Yuki appare davanti a lei portandole una lettera che qualcuno le ha consegnato per sbaglio. Yuki non è più sicura su ciò che sta succedendo attorno a lei e così comincia a scrivere una lista di ciò in cui crede.
Fukuma Kenji è poeta, professore universitario, traduttore dall’inglese ma anche saggista cinematografico e regista. Tutte queste attività culturali/artistiche intrecciate lo hanno visto anche gravitare da giovanissimo nella seconda metà degli anni sessanta nei paraggi della Wakamatsu Pro che lo fece recitare in alcune opere di Adachi Masao e di Wakamatsu stesso. Ma Fukuma è stato anche uno dei primi studiosi che ha “scoperto” con i suoi scritti l’autorialità e le potenzialità del pinku eiga, soprattutto della seconda ondata, quella dei quattro re del pinku, quella di Takahisa Zeze per intenderci (ha scritto anche la sceneggiatura per un film di Satō Toshiki) e uno dei pochi a saper cogliere la genialità dei primi lavori di Sono Sion.
In questa varietà di interessi, forse quella che caratterizza maggiormente il sessantaquattrenne autore giapponese e che ne forma una sorta di linea guida, in tutte le arti di cui si occupa di volta in volta, è la poesia (per cui ha vinto anche dei riconoscimenti). Il ritmo di un poema, gli improvvisi squarci in bilico fra realtà e sogno ed un approccio molto peculiare alla settima arte lo si trova molto fresco nell’ultima fatica cinematografica di Fukuma, A Fairy Tale. Già nel 2011 era uscito un suo film, Watashitachi no natsu (Summer For The Living) dopo un silenzio di circa tre anni dal precedente lavoro, che seppur con qualche spunto interessante non riusciva però ad impressionare veramente, specialmente a causa di una cura per l’immagine non all’altezza delle idee e della forma che volevano esser rappresentate.
In questo ultimo lavoro invece, il direttore della fotografia Suzuki Kazuhiro compie a pieno il suo dovere, l’immagine, ricordiamoci che è digitale, riesce a conquistare una sua peculiarità, quasi pittorica, specialmente nella saturazione dei colori e nei movimenti pieni di grazia della macchina da presa. Come nel film che lo precede e di cui è una sorta di perfezionamento, in Fairy Tale ritroviamo le due stesse attrici protagoniste, Kohara Saori e Yoshino Akira che si muovono in una storia che però non è narrativamente lineare e dove in realtà non succede niente di “realmente” importante. Il film infatti è una sorta di poema per immagini, una fairy tale appunto, che gira attorno alla già citata protagonista Sasaki Yuki, ventenne che affronta il mondo che la circonda e quello che si muove al suo interno senza soluzione di continuità, incontrando altri personaggi che, secondo le dichiarazioni dello stesso regista, potrebbero essere altrettante rappresentazioni del suo ego.
Interviste (vere?) e danze si intersecano con parti recitate da poesie dello stesso Fukuma ma anche di Agota Kristof, Hans Christian Andersen e altri ancora, in intensissimi primi piani delle protagoniste o in carrellate sul paesaggio metropolitano, visto dalla posizione alta di un treno in movimento, ma anche dalla posizione bassa e orrizzontale di un minuscolo parco.
Un lavoro che va visto quindi come si leggerebbe una poesia, lasciandosi trasportare dalla forza sottile delle immagini, da quella importantissima delle parole e dalle associazioni che queste mettono in moto nello spettatore, che in definitiva è colui che crea l’opera. Uno dei pregi di questo lavoro di Fukuma è quello di indicarci, al di là della sua intrinseca riuscita, come un cinema diverso, personale e aperto sia possibile, un tipo di cinema che riesca a ritagliarsi e creare uno spazio filmico peculiare in una contemporaneità che tende a catturare e standardizzare anche le opere cinematografiche che si vogliono minori. Uno spazio che l’autore stesso ha ben definito in un’intervista come quel luogo cinematografico che sta “fra Godard e Ishii Teruo, ma anche fra Beckett e Wakamatsu.....”. [Matteo Boscarol]
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