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“As Film Festival”: intervista al direttore artistico, Giuseppe Cacace

Creato il 14 aprile 2015 da Af68 @AntonioFalcone1
Una locandina dell'edizione 2014 di AsFF, autore Danny Lee

Una locandina dell’edizione 2014 di AsFF, autore Danny Lee

Grazie al responsabile dell’ufficio stampa, Carlo Dutto, ho avuto modo d’intervistare Giuseppe Cacace, direttore artistico dell’As Film Festival, prima kermesse cinematografica nata per volontà di alcuni giovani con Sindrome di Asperger, attualmente considerata un disturbo pervasivo dello sviluppo legato allo spettro autistico. Un festival uguale agli altri. Però diverso, che vede la partecipazione attiva di persone che si riconoscono nella condizione autistica e al cui interno sono quindi previste proiezioni di lungometraggi e cortometraggi, film d’animazione, anche in anteprima italiana, incontri, ospiti, una giuria, dei premi. La terza edizione della kermesse avrà luogo Roma, nei giorni 14 e 15 novembre, presso il MAXXI – Museo Nazionale delle arti del XXI secolo.
Un sentito ringraziamento a Giuseppe per la disponibilità.

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Come nasce As Film Festival? In particolare vi sono state particolari esigenze sulle cui basi si è deciso di dar vita ad una kermesse cinematografica che incentrasse il suo fulcro essenziale non tanto nell’essere un festival sull’autismo quanto nel vedere coinvolte, in un ambito ideativo -organizzativo anche persone autistiche?

Giuseppe Cacace

Giuseppe Cacace

“ASFF è il punto di arrivo di un percorso laboratoriale iniziato 7 anni fa e basato su una semplice intuizione: usare il cinema come strumento di inclusione sociale per persone con disturbi pervasivi dello sviluppo ed in particolare riguardo la Sindrome di Asperger.
Tutto nasce da un cineclub, un appuntamento quindicinale pensato per fare incontrare una ventina di ragazzi nella condizione autistica e, almeno nelle intenzioni, favorire la nascita di amicizie ed affetti. I risultati furono evidenti fin dai primi incontri: ragazzi che fino a quel momento avevano vissuto chiusi nelle loro camerette, iniziarono a scoprire l’altro, ad uscire dall’isolamento e ad interagire come mai avevano fatto prima. Se per la maggior parte di loro il cinema fu poco più che un pretesto per socializzare, per alcuni fu il punto di partenza per costruire un percorso di crescita e di auto affermazione.
Iniziarono ad interessarsi all’organizzazione del cineclub, a partecipare attivamente alla scelta dei film, all’accoglienza degli spettatori, alla presentazione delle serate, alla realizzazione del materiale informativo, fino all’autogestione di un appuntamento mensile, non più solo rivolto a persone nella condizione autistica ma a chiunque. Il lavoro di un anno venne videodocumentato e fu realizzato un documentario, Lo sguardo degli aspie, che iniziò a circolare nei festival. Tra gli altri, ricevemmo l’invito a presentare il lavoro a Cinemautismo di Torino: era la prima volta che Marco, oggi curatore della sezione Punti di Vista dedicata ai cortometraggi italiani, si allontanava da Roma senza i suoi genitori. Era la prima volta che parlava ad un pubblico di 400 persone, che rilasciava un intervista, che aveva modo di osservare il dietro le quinte di un evento importante. Fu lì che nacque l’idea di ASFF”.

Dopo due edizioni se la sentirebbe di metter su un bilancio relativo alla riuscita del Festival, sia in termini di coinvolgimento del pubblico, sia, più nello specifico, riguardo l’approccio ad una condizione autistica forse poco nota a molti, la Sindrome di Asperger?

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“Quello che è stato chiaro fin dalla prima edizione è che ASFF è un festival necessario sia per chi lo fa che per chi partecipa come spettatore: i ragazzi che lo organizzano si sentono parte attiva di una collettività che per anni hanno guardato dall’esterno, sentendosi inadeguati e forse indesiderati; dal palco hanno una visione privilegiata perché per una volta sono tra quelli che fanno, che dicono, che propongono e non più solo spettatori. Dall’altra parte c’è un pubblico che deve fare i conti con un’idea distorta dell’autismo, frutto di disinformazione, di scarsa attenzione da parte delle istituzioni, della mancanza di una vera e propria cultura dell’autismo.
Chi assiste al nostro festival capisce che l’autismo non è solo Rain Man, che non ci sono idioti sapienti, che esiste una normalità dell’autismo, che non tutti hanno eccezionali doti mnemoniche, che ci sono tanti e tanti autismi e che ciascuno è un punto di vista sulla realtà, sulla vita, sul mondo.
La Sindrome di Asperger è, fortunatamente una forma di autismo lieve, nel senso che influenza la sfera comportamentale e relazionale e non quella cognitiva. Il problema è che la persona con sindrome di Asperger ha spesso piena consapevolezza delle proprie incapacità sociali e della propria diversità e quindi nel confronto con gli altri rischia di cadere nello sconforto, e di rifugiarsi nell’isolamento e nell’autoesclusione. I ragazzi dello staff sono tanto straordinari nell’impegno e nella professionalità con cui svolgono il loro lavoro quanto fragili ed indifesi nella continua ricerca di approvazione da parte delle persone neurotipiche, come se l’unico modo giusto di essere sia quello neurotipico.
ASFF è la prova tangibile che i ragazzi che lo organizzano non hanno bisogno di approvazione e che la neurodiversità è una risorsa. In questo senso, il bilancio dopo due edizioni non può che essere positivo”.

Al di là della mera manifestazione, riconoscendo comunque alla cultura, cinematografica in tal caso, un indubbio valore unificatore, cosa ritiene sia effettivamente necessario, restando all’interno della nostra realtà sociale, per raggiungere un definitivo senso di aggregazione e riunificazione sociale nei confronti di quanti siano colpiti da particolari malattie/sindromi o diversamente abili, eliminando ogni discriminazione, al di fuori del “politicamente corretto” di facciata?

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“Come ho detto, in Italia manca una cultura dell’autismo e manca un’informazione corretta. Penso ad esempio alla serata del 2 aprile su Raitre. Un’occasione sprecata che ha amareggiato tante famiglie di persone nella condizione autistica. Hanno proposto Pulce non c’è, un film di denuncia sulla comunicazione facilitata, una “tecnica di comunicazione” che non è riconosciuta dell’Istituto Superiore della Sanità. La storia è vera, ed un papà è finito in incubo giudiziario per presunte violenze sessuali nei confronti della figlia autistica proprio a causa di questa tecnica. Potevano trasmettere qualunque cosa e invece hanno scelto quel film. Sia chiaro, non sto mettendo in discussione il film, ma la scelta di quel film in occasione della Giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo. Persino i veri protagonisti di quella triste vicenda si aspettavano due parole di commento al termine del film e una denuncia sulla comunicazione facilitata e invece niente. Anzi, si è pensato bene di promuovere un libro realizzato proprio con la comunicazione facilitata.
Ma perché stupirsi? In un altro programma (TG Leonardo) hanno detto addirittura che l’autismo è legato al cattivo rapporto con la madre!
Che senso ha promuovere in tv la Giornata della consapevolezza sull’autismo se lo si fa in modo così superficiale? Sinceramente penso che se c’è un modo per raggiungere una qualche forma di aggregazione o riunificazione sociale, questo non passa certo per i canali istituzionali (inclusi quelli televisivi).
La rivoluzione la fanno dal basso le famiglie, i volontari, gli operatori sociali, gli insegnanti che hanno a che fare tutti i giorni con la disabilità e non solo quando si illumina di blu questo o quel monumento. E’ quella la vera massa critica capace di avviare un processo di cambiamento sociale e di mostrare l’autismo, o qualunque altra disabilità, come punto di vista diverso sulla realtà secondo l’idea per cui, come dice Temple Grandin, Il mondo ha bisogno di tutti i tipi di mente”.

Qualche anticipazione sulla  terza edizione.

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“In occasione del 2 aprile abbiamo lanciato il contest per la realizzazione del poster della nuova edizione: è aperto ad artisti (professionisti e non) che si riconoscono nella condizione autistica. E’ un altro modo, oltre il cinema, per aprire un ponte tra il mondo neurotipico e quello autistico e per mostrare ancora una volta che esistono tanti autismi e tanti modi non verbali di comunicare.
Il contest del poster è solo il primo passo verso le arti visive: il nostro obbiettivo è quello di affiancare al festival cinematografico, un’esposizione internazionale di artisti nella condizione autistica. Il MAXXI, Museo nazionale delle Arti del XXI secolo, già prestigiosa location del festival, sarebbe il contesto perfetto per questo nuovo progetto. Nell’ultimo anno inoltre, abbiamo stretto rapporti con tante associazioni che si occupano di autismo: tra gli altri, Cinemautismo di Torino, Autismovie di Cagliari, Teatrialchemici di Palermo, Progetto Gian Burrasca di Spoleto. L’idea è quella di dare vita ad una versione itinerante del festival, che ogni anno raccolga il meglio dell’edizione passata e si arricchisca dei contenuti proposti dalle realtà locali interessate ad ospitare l’iniziativa.
Potete seguirci sul sito ufficiale e su Facebook” .

Cacace (il primo da sinistra) e lo staff di

Cacace (il primo da sinistra) e lo staff di “As Film Festival”


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