Ascoltando il dialogo dei grilli…

Creato il 09 luglio 2012 da Tnepd

Non riescono neppure in minima misura a concepire, di che cosa sia fatto, e come si dilati ed espanda, ed infine come vivifichi tutto quanto, un “amore vero per se stessi”. Al punto che alla fine si sfogano distruggendo l’amore per gli altri. Così, per sfogo idiota e cieco.  Gli stregoni continuano a propinare, ed insegnare, strategie sempre più gravi e contronatura, di fuga impossibile dal dolore. Le persone comuni, laddove l’aggettivo “comune”, è nella mia personale accezione una meritata offesa, un altro modo per dire “mediocre”, “indegno di una creatura destinata, per diritto di nascita, a DIVENIRE, perse e totalmente decentrate, si agitano come trottole impazzite al suono del flauto del pifferaio magico.  Loro, a differenza degli stregoni, non sanno che minimamente, quello che fanno. Meglio, quello che subiscono. Ma i lacci strangolanti di troppi rapporti sbagliati, con se stessi e con gli altri, rapporti che non nutrono realmente di luce, bensì impostati sul più bieco sado-masochismo, ormai a malapena deodorato dagli stanchi spruzzi di legittimatori ideologici, putridi sistemi di credenze millenarie, li avvingono e provocano costante, ormai indecifrabile e incomprensibile dolore. Di qui, appunto,  la fuga. Una fuga, nella direzione del “Dovunque”, venga loro presentata una promessa di atarassia. Dovunque, il naso lungo di un’emancipazione senza dolore venga a promettere e rassicurare soluzioni facili, AQUISTABILI senza crediti spirituali. Scappo il fine settimana. Scappo, e vado in montagna. Ho bisogno, io e i pochissimi amori che mi seguono, di aria più pura. Di un’atmosfera, non inquinata, non così tanto come in città, almeno, dai soliti pensieri molesti, dalle solite emozioni invadenti e mediocri, dalle solite chiacchiere prive di significato che non sia imporsi ad altri, o ammazzare il tempo, che invadono ogni cittadina turistica al sopraggiungere dell’estate. Ma anche in un ristorantino beccato tra i monti, ecco la tavolata di turisti in vacanza dal pensiero, intenti a cimentarsi in idiote conversazioni autoreferenziali quanto sterili. Gli argomenti da parrucchiere, gli atteggiamenti da palestra, le plastiche facciali, qua e là, da veri patiti dei centri benessere (ovvero terrorizzati dalla Natura e dal suo proprio equilibratore, il Tempo). Non stanno parlando di niente. Non si scambiano niente. Non comunicano, niente.  Non è una questione che dibatto. Non si tratta, di una mia idea, opinione, convinzione.  Si tratta, invece, di un FATTO. Un fatto, che semplicemente, in qualche modo, io VEDO. E’ qualcosa che al contempo vedo, tocco, ascolto. Ed è anche una certezza che mi investe. Una certezza invasiva. Un’emozione, un modo di vibrare tristemente familiare, che avevo cercato di lasciarmi dietro, con quella idea di uscire dai vincoli e dalle regole di un fine settimana cittadino-vacanziero. Trovano anche un capro espiatorio. Come al solito. quando tutti sorridono di idiozia, vi deve essere per forza l’accanrsi comune, come piranha resi forti da una spinta propulsiva comune ( fuga dal dolore di essere), verso una vittima designata. Questa volta, in questo caso, è la goffaggine dell’oste che cerca di essere troppo servizievole, ad essere presa di mira. Ma gli idioti, in gruppo, lo trovano sempre, un bersaglio per esorcizzare il loro cieco terrore nei confronti della vera INDIVIDUALITA’ di cui peccano. No; non si tratta di una convinzione. Non, di una mia lettura opinabile di quanto avviene. E’, lo ripeto, un concreto e innegabile dato di fatto, che investe il mio essere; e mi rattrista.La constatazione è troppo forte, anche per me che invece dovrei essere felice di essere in grado di gioire di me, nel distinguere. Così me ne esco. Me ne vado, perché altrimenti la mia tristezza diventerà rabbia.  Chi mi ama mi segue; e andiamo a fare una camminata tra gli alberi e i grilli. Forse, ancora non mi amo abbastanza. Forse. Ma di certo, e anche questo lo VEDO, in qualche modo, in maniera chiarissima, amo me stesso molto più di quanto si ama quella gente lì. Quei tristi individui che, in mezzo a libagioni, cercano la dimenticanza da se stessi e dai loro vincoli più naturali, celando dietro a sorrisi da guardia, un terrore incommensurabile di soffrire.  Non amano se stessi; non riescono, di conseguenza, ad amare neanche gli altri. Senza “esposizione”, non vi può essere pura “ricezione”. Senza “dono gratuito”, non vi può neppure essere vera “liberazione”. E questo, con buona pace della cultura pornografica della “meccanica dei pistoni e dei cilindri”, che va per la maggiore tra i mezzi di informazione grazie agli esperimenti dell’ingegneria e della genetica sociale ( ma anche con buona pace delle apparentemente avverse ideologie della costrizione, del contenimento, e della “repressione”). E questo, con buona pace della rampante cultura degli “amici da birretta”, o di quelli virtuali, facilmente acquisibili-facilmente rimpiazzabili,  del tipo da social network. E questo,  con buona pace di tutte le ideologie che insegnano a confondere l’egocentrismo narcisisitico, che da sempre a sua volta copre malamente le improbabili fughe dell’ego da se stesso, con l’individualismo più virtuoso e sacro, il quale sa amare ciò che incontra, in quanto ha imparato ad amare ( ovvero a conoscere ) ciò che reca dentro di sé. Insomma, con l’armatura si ama veramente male. Impossibile entrare in contatto. Le armature non sono fatte per amare, bensì per belligerare. Fugurarsi le armature che la gente indossa senza neppure rendersi conto che di armature si tratti! Né, tanto meno, che le stanno effettivamente indossando. Né, meno che mai, che neppure sono state loro stessi, a fabbricarsele. Bensì, al loro posto, una tipologia di individui che odia mortalmente, da sempre, tutto quello che rende l’essere umano, appunto, autenticamente UMANO. Questa sinistra prospettiva, di primo acchito, sembrerebbe non turbare affatto l’umore carnacialesco dei commensali riuniti a cena che mi lascio alle spalle chiudendo la porta. Eppure, a perenne dispetto della Natura verso i codardi e i tiepidi di cuore,  dietro quel volgare modi di ridere e starnazzare futilmenteesistenzialmente cronicamente “turbati”, che un’anima desta e vigile sia in grado di saper distinguere.  David The Hurricane Di Bella

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