Ci sono due considerazioni da fare, a proposito di Ashes to Ashes, l'ottavo episodio di Ash vs Evil Dead.
La prima è che lo chalet, visto da fuori, al crepuscolo, conserva tutta l'aria malsana che gli è propria. Davvero incredibile come si passi, per atmosfera, dalla commedia splatter avuta sin qui, all'horror tensivo, per il semplice fatto di entrare, insieme agli attori, in quelle logore stanze, ricostruite alla perfezione, così come Ash le aveva lasciate.
C'è soprattutto il registratore a nastro e la cara vecchia botola con la catena.
Dentro è un macello.
È come tornare nella vecchia casa delle vacanze in cui non si è più entrati fin da bambini, c'è qualcosa di malinconico e di malsano, insieme, nel riscoprire la decadenza di quei luoghi.
Un posto, lo chalet, attorno a cui non sopravvive nulla.
La seconda osservazione è la capacità, non solo dell'atmosfera, ma della storia stessa, di virare al tragico. Direi che siamo alle soglie della perfezione, in quanto a rievocazione scenica. L'essenza de La Casa è intatta, alterna momenti surreali a tempi comici, fino a quellli tragici.
Mi chiedo se, per i neofiti, l'ingresso nello chalet abbia dato lo stesso effetto che ha dato a noi altri, che in quella baita maledetta ci siamo entrati da bambini.
Entrati in casa, Ash lascia Amanda per sistemare il generatore, finendo chiuso nel capanno dove ha squartato la sua fidanzata, trent'anni prima.
La mano di Ash, che è stata la prima a ritornare allo chalet, cresce fino a formare l'Ash cattivo.
Medesima legge contribuisce a stagliare la dimensione eroica di Ash, l'eroe che da pulp e irriverente diviene tragico perché porta sulle proprie spalle un destino di fallimenti e sofferenza; ogni bontà, ogni speranza, gli vengono costantemente sottratte, proprio nel momento in cui riesce, dopo tanti e tanti anni, a sfiorarle.
Quest'episodio ha sancito il definitivo salto di qualità del prodotto, che s'era già dimostrato eccellente. Adesso è diventato epico.