Oggi sarebbe dovuto essere il giorno del rientro: stamattina era infatti programmato il post con cui questo blog avrebbe riaperto i battenti dopo la lunga pausa natalizia e salutato questo 2016 pieno di aspettative. Ma poi mi sono alzato, ho acceso il notiziario e improvvisamente tutto quanto avevo immaginato ha perso di significato. La scomparsa di David Bowie è una di quelle cose che lasciano il segno, sicuramente la notizia più infausta che questo inizio di anno avrebbe potuto portarmi. Come molte persone della mia generazione, feci il mio primo incontro con il Duca Bianco nel 1983 quando, volente o nolente, non potei fare a meno di essere risucchiato dal successo mondiale di "Let's Dance". Non fu in quell'occasione però che me ne innamorai: quello successe dopo, un paio di anni più tardi, quando, lo ricordo come fosse ora, mi sintonizzai a tarda sera su un canale radiofonico che aveva programmato uno speciale sulla carriera della popstar britannica. In poche ore recuperai tutto quello che c'era da recuperare, dagli esordi con Space Oddity e Hunky Dory all'era di Ziggy Stardust, dal successo di Alladin Sane al concept orwelliano Diamond Dogs, lungo altri momenti significativi chiamati Young Americans e Station to Station. Il vero colpo di fulmine arrivo però con la celebre trilogia di Berlino, composta da tre album realizzati con il supporto di Brian Eno tra il 1977 e il 1979, vale a dire Low (ad oggi il mio preferito), Heroes e Lodger. Il seguente Let's Dance (e ancora di più il successivo Tonight, che all'epoca odiavo ma che poi ho ampiamente rivalutato) era quindi solo la punta di un iceberg dalle dimensioni spropositate che fino a quel giorno avevo ignorato.
In beve recuperai tutto quanto c'era di recuperabile, nonostante le mie scarse disponibilità economiche: c'era questo negozio a Milano sui Navigli (credo ci sia ancora) che vendeva dischi usati a metà del loro prezzo. Orientativamente, ci si portava a casa qualunque cosa per cinquemila lire dell'epoca, che non erano poca roba ma più o meno facevano sì che ci stessi dentro con la paghetta settimanale. Ci avrei messo un po', ma così facendo alla fine mi sarei messo in casa tutti i suoi vinili. Oggi, seppure usurati dai lunghi e reiterati ascolti, sono ancora tutti al loro posto.Pochi tra i miei coetanei comprendevano questa mia sbandata per il principe del glam (evidentemente per via della sua ambiguità sessuale che un po' spaventava), ma io tiravo avanti per la mia strada e mi mostravo orgoglioso della mia passione. L'apice di quella mia passione giunse nel 1987, in occasione dell'uscita del suo album ancora oggi più controverso e, a detta dello stesso Bowie, meno significativo della sua carriera: Never let me down.Un apice che giunse per via di quel memorabile concerto che si tenne a San Siro nel giugno di quell'anno, una tappa dello scenografico Glass Spider Tour che mi vide mescolato tra una folla di ottantamila irriducibili fan. Fu un'esperienza meravigliosa che ancora ricordo con grande nostalgia. Ricordo, come se fosse oggi, la scaletta di quel concerto: le luci spente con le note di Up the hill backwards in sottofondo (mescolate con quelle di Purple Haze di Jimi Hendrix) a preannunciare la venuta del Duca dall'alto, dalla pancia di quell'enorme ragno che rappresentava la scenografia. Va detto che ricordare la scaletta non è cosa difficile, visto che tra quei vinili citati sopra c'è anche il bootleg di quel concerto. Fu come detto una serata indimenticabile, durante la quale scorsero davanti ai miei occhi alcuni dei momenti più belli della discografia di David Bowie: Fashion, Rebel Rebel, Scary Monster, Heroes, Fame, Time e innumerevoli altri.Col senno di poi, quel Glass Spider Tour non fu, come ammise lo stesso Bowie, l'espressione più alta della sua carriera live, ma il destino (e l'età anagrafica) mi aveva regalato quell'occasione e non potevo certamente recriminare su ciò che mi ero perso in precedenza. A maggior ragione non posso recriminare nulla oggi che l'eroico Major Tom ha intrapreso il suo viaggio definitivo verso le immensità dello spazio interstellare.Mi mancherai, Duca Bianco. Anche se erano ormai anni che non seguivo più la tua carriera artistica, preso da un milione di altre cose, i tuoi vecchi dischi non hanno mai smesso di popolare il mio lettore CD e non smetteranno mai di farlo. Grazie per tutti i bei momenti passati assieme, David.
It's too late to be grateful, It's too late to be late again.
Il blog riprenderà normalmente, così come era stato programmato, fra qualche giorno. Il titolo che avevo scelto per il post del rientro era "Sweet Sixteen": sono ancora indeciso se lasciarlo così oppure se cambiarlo con qualcosa di meno "sweet". In fondo non c'è nulla di meno sweet di questo sixteen appena iniziato. Nelle ultime due settimane, come avrete notato, la grande consolatrice si è portata via, oltre a David Bowie, anche altri due grandi personaggi che hanno in un certo qual modo segnato la mia infanzia: sto parlando di Angus Scrimm, il celebre volto del Tall Man a cui avevo dedicato uno speciale una ventina di mesi fa, e il leggendario Lemmy Kilmister, i cui dischi addirittura precedettero quelli di Bowie nella mia collezione. Avrei voluto scrivere qualcosa anche su di loro in questi giorni, ma a questo punto non so se è il caso di farlo. La vita per noi continua, deve continuare, anche senza di loro.