Posted 20 giugno 2013
di Pietro Acquistapace
La vita al tempo dell’Unione Sovietica per i musulmani dell’Asia Centrale non è stata facile. Dopo un inizio promettente, grazie alle politiche religiose di Lenin, le cose cambiarono radicalmente con l’avvento al potere di Stalin. L’URSS stalinista cancellò la larga libertà religiosa concessa all’islam, visto come il più pericoloso nemico dell’integrità della Repubblica dei Soviet. Peggio ancora quando nel 1959 Nikita Chruschev divenne Primo Segretario del PCUS, intraprendendo una campagna di ateizzazione forzata in Asia Centrale. Nonostante tutto l’islam sopravvisse sotto le ceneri.
Con le aperture democratiche di Gorbacev i movimenti islamici sono di fatto entrati a far parte della vita politica dell’Unione Sovietica prima e degli stati ex-sovietici poi. A religiosi collaboranti con le autorità si opposero presto giovani in aperto contrasto con le generazioni precedenti. Anche nei nuovi stati dell’Asia Centrale l’islam è stato utilizzato dagli autocrati nella creazione di un’identità nazionale, salvo venire ben presto represso in quanto minaccia per la stabilità, in nome della lotta al terrorismo. E l’opposizione ai regimi antidemocratici sta dando ai movimenti islamici un ruolo di primo piano in termini di appoggio popolare.
Oggi è in discussione la modalità della presenza islamica in un contesto politico, seppur timidamente, pluripartitico. Le giovani generazioni si stanno radicalizzando e parte di esse vorrebbero usare gli spazi conquistati dai loro padri per introdurre una visione più prettamente islamica. L’islam centroasiatico, per sua natura moderato essendo di scuola Hanafita, si è sempre confrontanto con un regime sovietico dove la sfera politica e quella religiosa erano nettamente separate, rendendo quindi problematica la volontà di teocrazia in un contesto non ufficialmente musulmano.
La crisi economica dovuta alle politiche seguite al crollo dell’Unione Sovietica ha favorito il proliferare di influenze radicali Wahabite, in particolare nella valle di Fergana che di fatto è una delle aree islamiche più radicali dell’Asia Centrale. A partire dalla resistenza antisovietica in Afghanistan, si sono diffuse nella regione idee di unità islamica a carattere jihadista, idee che comunque hanno trovato un muro di sbarramento nelle rivalità etniche delle popolazioni centroasiatiche. L’Afghanistan rischia inoltre di essere un grande serbatoio di radicalismo, come già avvenuto in passato con il Movimento islamico dell’Uzbekistan, collegato ad Al-Qaeda.
L’islam in Asia Centrale deve inoltre fare i conti con il retaggio di tradizioni precedenti sulle quali si è innestato, spesso sciamaniche e proprie di popolazioni nomadi. Recentemente in Kirghizistan i movimenti islamici si sono prodigati affinché venissero approvate leggi contro l’Ala Kachuu, il rapimento della sposa, pratica di antica origine e che ai tempi dell’Unione Sovietica fu recuperata nella costruzione di un’identità khirghisa decisa a Mosca. Secondo Koyrun Begum, interpellato dall’autore e membro dell’ONG Restlessbeings, i musulmani kirghisi non hanno ritenuto lesa la loro identità nelle nuove leggi più severe per i rapitori, dato che la stessa legge islamica prevede che gli sposi siano consenzienti.
Questo solo un esempio di come l’islam centroasiatico sia a pieno titolo inserito in un contesto politico dove la società civile può tentare di far valere le sue istanze, contesto messo in pericolo da una generazione di giovani mullah radicali che non hanno vissuto l’epoca comunista, e per i quali la teocrazia è una risposta ai bisogni delle popolazioni. Un islam quindi che si trova a dover affrontare sia dei regimi corrotti ed autocratici che l’insoddisfazione dei suoi stessi giovani.