Cinque giorni della vita di un vecchio esorcista e della sua giovane nipote, che lavorano senza sosta nell'area di Barcellona, il tutto narrato in un'atmosfera che fa presagire una catastrofe incombente...
Film su possessioni, esorcismi, invasioni demoniache ne abbiamo visti molti. A partire da "L'Esorcista" di Friedkin, del lontano 1973, pietra miliare del cinema perturbante contemporaneo e ormai archetipo sedimentato nell'immaginario collettivo, la figura simbolopoietica del Male che alberga nelle profondità del cuore dell'uomo è stata studiata da molti registi che ne hanno tentato molte revisioni interpretative : si tratta di un tema in fondo poi mai abbandonato dal cosiddetto genere horror. Recentemente, in questi ultimi anni soprattutto, il filone sembra aver ripreso grandemente piede, vedansi le varie prove (dagli alterni risultati) della serie "Paranormal Activity", ma non solo (rimando, per una disamina recensoria come al solito molto attenta e dettagliata sulle ultime pellicole che sviluppano meglio e con più originalità il tema della possessione, al blog di Elvezio Sciallis).
Il precedente paragrafo mi pareva rappresentare una necessaria premessa. Ma ve ne è una seconda che ritengo altrettanto necessaria, e che riguarda il Cinema Perturbante spagnolo, di cui naturalmente fa parte "Asmodexia". La vitalità del cinema horror spagnolo è nota a tutti, e basterebbe fare i nomi del catalano Nacho Cerdà (Aftermath, 1994, Genesis 1998, The Awakening, 1990), di Jaume Balaguerò o di Paco Plaza (REC, 2007), o di Jorge Sànchez-Cabezudo (La notte dei girasoli, 2006) per poter allestire un intero convegno dedicato solo a quest'area geografica. L'horror spagnolo è molto interessante perché intreccia il sapore fortemente gotico-rurale di molte pellicole, con quello dell'ambientazione cittadina nella quale spicca una particolare attenzione alle periferie degradate intese come metafora di una società culturalmente decaduta e in cerca di un'identità impossibile da ritrovare. Lontano anni luce dalle facili intenzioni seduttivo-spettacolose di cui è imbevuto il mainstream statunitense, l'horror iberico rielabora elementi antropologico-religiosi e storico-politici di ben altro spessore, riguardanti la specificità della storia iberica stessa, i caratteri antropologici che la contraddistinguono, generando così un'operazione di riflessione comunitaria e culturale a mio avviso non da poco, funzione del tutto mancante dalle nostre parti ( almeno per quanto attiene al genere perturbante, intendo dire).
Fatte le due precedenti, a mio avviso necessarie premesse, il film dell'esordiente Carretè, si inscrive senza dubbio nel filone cinematografico a cui mi riferisco poco più sopra, tentando di contribuire a nutrirlo o coltivarlo, e prendendo di petto, e come via d'analisi, il vetusto tema della possessione demoniaca. E lo prende, questo dannatissimo e non facile archetipo, questo sentiero così scivoloso, ambiguo e sempre in salita, dal punto di vista dei confronti con più illustri precedenti, da un versante piuttosto originale, che lo promuove a film visionabile e apprezzabile, nonostante alcune considerevoli pecche di cui avremo modo qui di parlare.
Gli elementi positivi sono tutti contenuti nella caratterizzazione di una coppia, quella costituita dal vecchio esorcista e dalla nipote (Eloy de Palma e Alba), personaggi molto diversi tra loro, ma legati da una vicenda transgenerazionale che li inchioda al loro ruolo di nomadi tribali in giro per il territorio a rivestire eternamente la loro funzione di sciamani del XXI secolo. In questo film, "primitivo" e "post-moderno" coesistono infatti a meraviglia, e tale integrazione è impreziosita da inquadrature di archeologia suburbana davvero interessante (si vedano le sequenze dello stadio con la piscina abbandonata e gli spalti per il pubblico completamente diroccati e attraversati da scritte e disegni colorati di writers locali). Un montaggio alternato abbastanza ben costruito, ci fa poi oscillare tra l'esterno delle peregrinazioni di Eloy eAlba, da una parte, e l'interno dell'ospedale psichiatrico, dall'altra.
Tutto lo script è attraversato da una sottile aura di mistero: non sappiamo in realtà mai niente di niente (lo stesso titolo "Asmodexia" in realtà non ha nessun significato, che almeno il sottoscritto conosca), fino al finale, un terzo atto che risponde a posteriori alle domande che ci siamo posti lungo il corso della visione. Carretè è molto ellittico, anzi, fa dell'ellissi la sua cifra peculiare. Non mostra quasi mai sequenze di vero e proprio esorcismo in quanto tale. Non gli interessa l'effetto speciale, il consueto (e ormai banale, circense) roteare di teste, di toraci, di braccia della malcapitata vittima di Lucifero. Gli interessa la storia in sè, il rapporto tra l'esorcista e la nipote, in fondo una "semplice" storia familiare, un incontro tra generazioni oggigiorno, poi, usualmente molto lontane, giacché lontane sono oggi anche le generazioni dei figli e dei genitori, e figuriamoci quindi quelle tra nonni e nipoti. Carretè le avvicina invece queste generazioni lontane: vediamo ad esempio un uomo piuttosto anziano incamminarsi accanto a muri dipinti con lo spray da sedicenni. Questa a me è parsa forse la principale idea originale che muove ed ispira tutto il film. Come se il discorso sulla "possessione" volesse intrecciarsi con quello, decisamente più sociale, psicologico, e simmetrico, dello "spossessamento" che nell'attualità viviamo, della nostra stessa storia, cioè di noi stessi.
Nella cosiddetta "società liquida" sono soprattutto i giovani (Alba) a subire questo spossessamento, oppure, se vogliamo vedere il problema da un altro vertice di osservazione, ad essere "posseduti" dal demone della superficie, del godimento immediato, dell'immagine di Narciso, antitesi di una profondità storica, rappresentata dal vecchio Eloy. Il capovolgimento finale di prospettiva (che ovviamente non riveliamo) sembra confermare questa nostra visione interpretativa della pellicola. I difetti ci sono, naturalmente: in primis una certa ripetitività vuota dei dialoghi, nonché un soffermarsi eccessivo di Carretè sulle inquadrature di paesaggi naturali e campagne nelle quali Alba ed Eloy camminano ininterrottamente. Anche la fotografia, che vira al giallo e al seppia con contrasti forti in alcune sequenze, mi è parso un sovrappiù inutilmente estetizzante, laddove si poteva dare più spessore agli intrecci familiari (che rimangono il cardine della storia, ma che sono troppo poco sviluppati, fino a risultare come troppo superficialmente costruiti).
In sintesi, per essere un lungometraggio d'esordio (dopo i corti "Castidermia", 2012 e "Mal cuerpo", 2011), e pur con tutti i suoi limiti, di budget e non solo, "Asmodexia" si pone come nuovo ed interessante tassello del cinema perturbante iberico, che cerca di lavorare il fritto e rifritto tema della "possessione" con un tocco originale e inconsueto.
Regia: Marc Carreté Soggetto e Sceneggiatura: Marc Carreté, Mike Hostench Fotografia: Montaggio: Musiche: Cast: Albert Barò, Marta Belmonte, Pepo Blasco, Roser Bundò, Ramon Canals, Marina Duran, Lina Gorbaneva, Lluis Marco, Irene Montalà, Clàaudia Pons, Mirela Ros, Josè Garcìa Ruiz, Silvia Sabaté Nazione: Spagna Produzione: Ms Entertainment, Dear Fear Durata: 81 min.