Dubito che possa esistere al mondo uno scrittore più impietoso di Coetzee, e lo dico per sottolinearne una qualità – prettamente letteraria – enorme, tanto da spingere in secondo piano tutte le altre. Perché è proprio l’impietosa capacità di analisi – di autoanalisi, in prima battuta – prestata al protagonista e narratore di questo romanzo a imporre una lettura che altrimenti avrebbe potuto essere tutta metaforica. Ci troviamo in una cittadina ai confini dell’Impero, in un luogo e in un tempo indefiniti, dove la vita ha sempre seguito un corso fin troppo tranquillo. Ma un giorno compare un colonnello dell’esercito, mandato lì per scongiurare una possibile – imminente e temutissima – offensiva dei barbari, che vivono nel deserto appena fuori da questa e altre simili cittadine di frontiera. Un paio di spedizioni all’esterno delle mura servono solo a riportare in città presunti barbari laceri e malconci ancor prima di essere sottoposti a torture di impressionante crudeltà. Ed è qui che il magistrato protagonista del romanzo, prima di allora padrone rispettatissimo – e scarsamente interessato agli altri – della città, ha un’impennata d’amor proprio e reagisce, guadagnandosi l’etichetta di complice dei barbari. Torturato a sua volta, non perde soltano i propri privilegi sociali, ma – privato della libertà, delle forze e soprattutto di qualsiasi rilevanza – precipita al livello più basso dell’umanità. Ed è da questo speciale punto d’osservazione che riesce a raccontarci il peggio di cui siamo capaci, il peggio dell’uomo che era e di quello che il civile Impero è in grado di produrre. Non si tratta solo dell’irrazionale timore dell’altro, della corruzione implicita nelle intricate burocrazie prodotte dal benessere, dell’ottusità del potere, della lussuria decadente, ma di tutte le sfumature generate dalla – a volte sottile, a volte esplicitissima – cultura della sopraffazione. Una lezione durissima, eppure mai gratuita, mai esibita, che si conclude lasciandoci addosso, in qualche maniera, lo stesso dubbio con cui Kavafis chiude la poesia che con questo libro condivide il titolo: «E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi?/Era una soluzione, quella gente».
Aspettando i barbari, J.M. Coetzee, traduzione di Maria Baiocchi (Einaudi, 198 pp, 10,00 €)
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