Magazine Cinema
Recensione di Marco Zaninelli
Titolo originale: Aspirante vedovo
Paese: Italia
Anno: 2013
Durata: 85 min.
Genere: commedia
Regia: Massimo Venier
Soggetto: Dino Risi, Rodolfo Sonego, Fabio Carpi
Sceneggiatura: Massimo Venier, Ugo Chiti, Massimo Pellegrini
Cast: Fabio De Luigi, Luciana Littizzetto, Alessandro Besentini, Francesco Brandi, Roberto Citran, Bebo Storti, Ninni Bruschetta, Clizia Fornasier, Fulvio Falzarano, Stefano Chiodaroli
Poco da dire: Alberto Nardi (Fabio De Luigi), imprenditore incapace, è sposato con Susanna Almiraghi (la Lucianina nazionale) , abile, ricca e spregiudicata affarista; Questa, apparentemente scomparsa in un incidente aereo, lasciando al marito l’eredità dell’impero finanziario, ricompare, facendo maturare ad Alberto progetti criminosi.Massimo Venier alla regia, lo sceneggiatore e regista dei film di Aldo, Giovanni e Giacomo per intenderci. In più il film vanta un precedente solido, infatti è il remake, liberamente tratto, de Il vedovo (1959) di Dino Risi, con Alberto Sordi e Franca Valeri. Diciamo: qualche palese riferimento (la torre Velasca, l’ascensore , i nomi propri …) ma nulla più . In realtà le premesse ci sono, per chi apprezza l’umorismo espressivo e i personaggi perennemente “inetti” di De Luigi o i monologhi della Litizzetto a Che tempo che fa; in più, avendo in mente alcune opere di Venier la risata pare assicurata. In più il cast, in poco più che camei, raccoglie anche un buon numero di facce note, comici e attori di varia estrazione (Francesco Brandi, Bebo Storti, Roberto Citran, Fulvio Falzarano, Ninni Bruschetta…).Con questo spirito, ma anche con qualche commento non troppo positivo da parte di amici mi accingo alla visione.Il ritmo appare troppo lento (mi capita di dover guardare un po’ troppo l’orologio) per una pellicola che oltretutto scorre via in meno di un’ora e mezza. Qualche sorriso, tanto cinismo e un odio intenso, profondo e viscerale per … tutti. Sta qui il problema. Forse sono solo un idealista, ma la realtà spesso è anche troppo disperante per mostrarla tale e quale anche su uno schermo. Non c’è nemmeno la denuncia accorata di un sistema, c’è solo il cinismo, l’opportunismo di una classe di imprenditori che strangolano il paese, che sperano in una fine non troppo rapida della crisi economica («c’è da arricchirsi», sussurra Susanna in Chiesa, parlando con un vescovo assolutamente consenziente).Nel film di Risi almeno si ghigna, pur con un brivido lungo la schiena. Qui resta solo il brivido e la voglia di piangere. E anche quando ci si immedesima un minimo nel personaggio più sfortunato, seppur megalomane, arrogante, realmente incapace e fastidioso (si lamenta dell’Italia impossibile da cambiare, salvo poi tentare di essere tale e quale la gente che frequenta), le cose vanno sempre al contrario di come uno, in cuor suo, senza dirlo in giro, vorrebbe. Persino l’autista di Alberto, Giancarlo (Francesco Brandi) è maleducato e prepotente, anche Stucchi (Alessandro Besentini, di Ale e Franz), inizialmente l’unico con un barlume di onestà e legato ad Alberto da una sorta di amicizia, si rivela senza scrupoli, appoggiando il tentativo di Alberto di uccidere la moglie e abbandonando De Luigi dopo il fallimento. Ovviamente, quando uno spera che almeno Susanna al secondo tentato omicidio ci lasci le penne, in un moto di giustizia celeste (pessimo inoltre l’affidarsi della donna a un amuleto religioso che sembra proteggerla man mano che la sua condotta si fa più spregiudicata, man mano che umilia sempre più il marito), il film si concluderà nel modo più ovvio, con la morte (si deve dire qui rispettando la pellicola del 1959) di Alberto.
Voto: 4 e 1/2
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