Ho iniziato molto presto a bere vino. Ero ancora fanciullo quando, su consiglio dei parenti, ho dato mano ai primi bicchieri che, secondo loro, dovevano farmi sangue.
In famiglia si onorava Bacco sin dall’età del bronzo, e si brinda tutt’ora.
Siamo una dinastia di bevitori e non ci vergogniamo.
A partire dal bisnonno Matteo e anche prima, la memoria infallibile dei paesani si è premurata di tramandare aneddoti inerenti la nostra sacrosanta fede nel dio vino. A un fratello di mia nonna paterna, inveterato bevitore, nell’osteria di Pilìn un giorno gli fu chiesto: “Vi piace il vino Luiso?”.
” Mi piace – rispose imperturbabile – se potessi salterei dentro una botte di dieci ettolitri piena di Merlot. Poi aprirei la bocca a livello del vino e incomincerei a bere. e a mano a mano che il vino cala, mi abbasserei anch’io fino ad inginocchiarmi.”
In tempi di carestia vinicola, Luiso sapeva essere anche ironico. Una volta, in piena estate, subito dopo l’ultima guerra, stava scaricando la legna dalla teleferica di Valdapont. Due turisti di passaggio, a quei tempi piuttosto rari, lo notarono mentre, accaldato e stanco, beveva grandi sorsate d’acqua dalla fontana vicino la chiesetta.
“Preziosa l’acqua, vero barba?” esordì uno con aria di presa in giro. Senza scomporsi, Luiso rispose: “Preziosa e buona, peccato non avere un po’ di vino per risparmiarla”.
Di bevitori famosi in famiglia ce ne sono stati parecchi. Da Sepp Corona, un vecchio celibe e taciturno, allo zio Pinotto, dal nonno Felice a suo fratello Domenico Menin, morto sul Pal Piccolo, centrato da una granata mentre all’interno di una tenda divideva con i commilitoni una damigiana di vino. Questo episodio il nonno me lo ha raccontato più volte. Concludeva dicendo: “Morirono in otto”.
E poi mio padre, mia madre e altri parenti più o meni stretti. Come si può dedurre, il terreno della tradizione bevereccia era assai fertile perché anche i nuovi rampolli della dinastia Corona fossero tentati dal calice. In famiglia di musicisti, è facile che figli e nipoti dei suonatori contengano il DNA della musica che li spingerà fatalmente tra le note.
Il primo approccio vinesco
che ricordo in maniera affettuosa
è stato con il Raboso.
E,
come succede con il primo amore,
quel vino è rimasto per sempre a invecchiare con me,
nella cantina degli affetti.