Brianza, da qualche parte su al Nord. L’imprenditore Torquato Boatti (Franco Neri), sta per concludere un importante affare, vendere il mobilificio ereditato dal padre ed acquistare una nuova proprietà, in vista di una proficua espansione.
Per la cessione è pero necessaria anche la firma del fratello Marco (Andrea De Rosa), spiantato musicista, con il quale i rapporti sono tesi da molti anni, ma Torquato dovrà raggiungerlo in Calabria, Aspromonte, dove si trova in tour con la sua band.
Arrivato nelle calabre valli, il nostro avrà un forte litigio con il congiunto, il quale si rifiuta di firmare.
Ma i problemi sono appena iniziati, perché Marco sparisce e Torquato teme un rapimento, per cui non gli resta che mettersi sulle sue tracce con l’aiuto della guardia forestale Aldo (Pier Maria Cecchini), su e giù tra boschi e montagne …
Pier Maria Cecchini e Franco Neri
Diretto dall’esordiente Hedy Krissane, regista italo-tunisino che si è fatto notare con delle buone prove nei cortometraggi, autore anche dello script (insieme a Pier Maria Cecchini, Franco Neri, Gero Giglio, Gaetano Sansone e Tonino Perna, cui si deve il soggetto), Aspromonte – Tutta un’altra storia si rivela un film fragile nell’impianto complessivo, con una sceneggiatura scricchiolante ed incerta nella caratterizzazione dei personaggi, volta al facile bozzetto e sin troppo incentrata su Neri, poco credibile nella sua interpretazione monocorde e a lungo stancante, di un calabrese trasmutato, forse geneticamente, in un industrialotto nordico, che, vai a capire perché, ci mette più o meno tutta la durata della pellicola a svelare le sue intuibili origini.
Un coup de theatre buttato così a caso, come il refrain dei soliti luoghi comuni (dalla peperoncino dipendenza in poi), mai trattati con funzionale ironia, alla pari dei riferimenti alla criminalità, sempre accondiscendenti e benevoli (la cannabis, si sa, in Calabria nasce portata dal vento, la ‘ndrangheta sarà sconfitta prima o poi da un raggio di luce, come esterna in un cammeo Pino Strangio, rettore del santuario di Polsi, ponendosi in concorrenza con le parabole della buonanotte di Don Matteo). Il tentativo, dichiarato, è di rifare il verso a Benvenuti al Sud e, soprattutto, a Basilicata Coast to Coast, riuscendovi nella realizzazione di un intrattenimento leggero, per non dire naïf, ma non nel saper sfruttare, magari con toni surreali e poetici, il paradossale e il grottesco, presenti entrambi in molte situazioni. Il tema dello scontro che diviene confronto, o quello del viaggio come scoperta di perduti ideali e valori, oltre che scoperta di sé, avrebbero potuto essere certo ben sostenuti dalla valida regia di Krissane, ed invece si perdono nella necessità, insita nella creazione stessa del film (sostenuta dalla Fondazione Calabria Film Commission, dal Parco Nazionale dell’Aspromonte, dal GAL Batir Gruppo di Azione Locale Basso Tirreno Reggino, e realizzata con la collaborazione del Corpo Forestale dello Stato), di visualizzare un promo turistico, che fa delle tante località calabresi una sorta di unicum visivo, a metà strada tra il didascalismo di Geo e Geo e i filmati di Linea Verde, con virate verso il videoclip (l’insistenza ossessiva della musica in molte sequenze).
Viene così sacrificata qualsiasi necessità cinematografica che non sia finalizzata al riguardo, dalla suddetta interpretazione degli attori ad una storia in corsa precipitosa verso un finale irrisolto, con molti punti in sospeso.
Mi sia concesso un personale sfogo, in conclusione: ma noi calabresi abbiamo veramente bisogno di uno promozionale lungo 90’ per sentirci improvvisamente riscattati da un destino, solo in parte, “cinico e baro” o non sarebbe il caso di rimboccarci le maniche per valorizzare finalmente con coerenza il nostro territorio, la nostra cultura, il nostro sapere e volere fare, da anni immersi nella melma del clientelismo e della politica compiacente? Pensiamo veramente di venirne fuori con lo slogan “il mare da un lato, la montagna dall’altro”, lieti di avere esportato la criminalità al Nord e fieri del “niente so e niente voglio sapere”? Però ci scandalizziamo per Qualunquemente, semplicemente reo, nel suo parossistico espressionismo, di lesa immagine e concreta realtà, per quanto teatralizzata ad uso e consumo di quanti non conoscono la regione ed immaginano come possa essere. Tappi di cera nelle orecchie, ben legati all’albero maestro, è giunto il momento di fronteggiare le lusinghe del canto delle sirene, Itaca non è poi così lontana.