gabriele Da quando sono venuto a nascondermi qui ho perso il conto dei giorni, smarrito il senso del tempo. Questa pensioncina cadente. A pochi passi dal Cimitero Monumentale. Questo rifugio per clandestini e tossici e topi. Io qui. Seppellito nell’odore di piscio, di scalogno e di polvere. Una stanzetta scrostata come nei più disperati racconti di John Fante e Bukowski. Con l’intonaco a chiazze. Il soffitto nero di muffa e di crepe. Avanzi di tappezzeria consunta e sudicia, venuta via negli angoli. Ogni tanto uno scarafaggio in ricognizione. A disagio pure lui. Ragni così polposi che ti fanno paura anche dopo averli spatasciati. Gente che litiga e scopa dietro ogni muro. A tutte le ore. La serratura andata. E l’unica sedia per barricare la porta. (Coi miei duemila in verdoni da cento accartocciati nelle calze e il portatile sotto il materasso sono un miliardario, qua dentro). Un lavandino mezzo rotto in camera e il cesso comune in fondo al corridoio. Pisciare sempre nel lavandino. Ovvio. Risoluzione già adottata da altri, ci sono tracce che parlano chiaro. E un solo oggetto d’arte a ravvivare l’ambiente, unico tocco personale all’arredamento, solitaria presenza affettiva a legarmi a qualcosa là fuori, in verità non consolandomi ma facendomi sentire ancora più male, ogni giorno d’un passo più vicino al suicidio: il gatto di Mattia appeso sopra il letto. Al posto di un’antipatica madonna del tutto fuori luogo. Le ho fatto un favore a levarla da lì. Che cosa ci stai a fare? A guardare i disgraziati in preda alla depressione che pisciano nel lavandino rotto? In attesa di non avere più i soldi nemmeno per pagare la pigione di questa topaia? Senza la possibilità di muovere un dito per loro, perché semplicemente, diciamocelo, semplicemente tu non esisti? Ma vattene, va’. Vai almeno a piangere sangue per qualcuno che crede ancora alle favole. O vai a guarire un bambino al Misericordia, tanto per cambiare, invece di apparire agli stronzi disonesti e ai fanatici con le stimmate. Così ci ho messo il gatto senza coda. Che avevo fatto incorniciare.
E nessuno in carne e ossa con cui scambiare due parole. Mai avuto nessuno, prima e dopo Mattia. La mamma che se ne andò così presto. Mio padre fuori di testa, in quei pochi anni prima di raggiungerla.
Cosa c’è papà?
Non rompere. Sto parlando con la stufa.
Ah. Cercate almeno di non litigare.
La sola distrazione rimastami, anche se per me è un lavoro, è il poker online. Ci potresti scrivere un libro, solo coi nicknames che si sceglie certa gente. Mi è capitato di sedermi al tavolo con avversari che si chiamavano ciccione, balubone, culone, jackfogna, smemorato, sciancatello, ammazzagallittu, il merda, guapopapo, mbriaco, flautomolle, megaciuccione, melociucci, bocio, baffotomettaret, stoga220, bigolo, e poi peppopaz, vaffanfull, baiacagai, totòriina, scomunicat, olatitant, osicario, miononno, latumamma, e waschintoon, cavagliere, puzzetta, subuteo, sukaminkiapuppu, frullapassere, stracciamutande, e poi ancora pompetto, sperminetor, sbrodolino, scopatore, ratzinger, borbonauta, crocifisso, mortaccio, natustunatu, nunvincomai, mezzopolmone, scurnacchiat, disgraziat, ebete, farabbutto, cornogobbo, kitemmuertu, fessacchiotto, vaintecasen, mozzamani e sticazz. Più tutto uno zoo di procione, mulacchione, giaguaro, coguaro, supercammello, supertopo, topino, topolinonero e topodue, e pitone, struzzubellu, lince, tigro, gufo, tricheco, cercopiteco, civetta, gallina, lupone, cinghial8, yellowpecora, porco, ringhio, marcodobermann, vacco, pinguino, tacchinella, faraona, fagianotta, girino, pipistrello, bisonte, talpone, cornabobò…
L’effetto comico è accentuato dal fatto che certi server, in uno spazio separato dal tavolo di gioco – solitamente una colonnina laterale – verbalizzano le mani annotando di volta in volta il nome del virtuale mazziere (c’è un dealer fittizio, solitamente un ologramma tettuto, ma per mazziere designato s’intende colui che a turno sta prima di buio e controbuio), del vincitore della mano e dei giocatori via via eliminati, per cui può capitarti di leggere frasi del tipo “il mazziere è smemorato”, “il mazziere è mbriaco”, oppure “il vincitore è porco”, “il vincitore è crocifisso”… Poi ci sono le chat, dove i giocatori più che altro si insultano, dicendosene di tutti i colori… Ieri notte, prima ancora dell’inizio del torneo, a carte non distribuite (quando al massimo taluni azzardano gentili saluti o auguri menarogna quasi mai ricambiati) uno, mi pare un certo svizero, con una zeta sola, se ne viene fuori, senza che si possa capire con chi ce l’abbia (forse una presentazione autocritica di se stesso) con un enigmatico: “in ogni tavolo ce da sta nu strunz”.
Poi si parte col torneo, e due animali di cui non ricordo il nome vanno subito all in. Il primo ha coppia di 2. Il secondo coppia di 8. Al flop esce subito il terzo 8. La coppia di 2 pare spacciata. Senonché uno dei 2 è di picche, e spuntano fuori altre quattro picche! Allora il vincitore tenta di consolare l’avversario malamente eliminato, e sotto gli occhi di tutti appare la coraggiosa e forse doverosa scritta: “scusa ho sculato”.
Pochi secondi e arriva, in due riprese, la risposta di quell’altro Lord di Oxford in stampatello maiuscolo: “MA VAFANCUL A MAMMMT”.
E: “TU E ST’EUROBET D MERDDDDD”.
Notare che non eravamo su eurobet! Caratteristica comune di questi semianalfabeti dell’insulto è non distinguere un server dall’altro: paradossali trogloditi incredibilmente forniti di pc, chiavetta e card ricaricabile, nemmeno sanno dove cavolo stanno giocando, forse perché, avendo del denaro sporco da riciclare, avranno ognuno venti conti cifrati diversi… E però, non è un bell’enigma antropologico, non è la misura del tempo assurdo in cui viviamo, immaginarsi certe pelosissime scimmie alle prese con computer portatile, connessione internet e poker online? Come diavolo faranno a digitare un pin mentre si arrampicano sugli alberi o gironzolano per liane? E a ricordarselo? Se lo faranno tatuare sulla coda? Boh!!
Il bello è che in teoria ci sarebbero dispositivi spietati che vegliano contro il turpiloquio: io preferisco giocare e tacere, come tutti i veri Giocatori, ma una volta che uno mi tirò fuori dalla grazia di dio e volevo dargli del pirla, il sistema me l’ha impedito e mi ha pure sgridato. Ma le proscimmie se ne fanno beffe, e per aggirarlo s’insultano e t’insultano facendo ricorso ad abbreviazioni, sgrammaticature volute e a dialetti austroungarici o beduini…
Solo il Gioco mi rende sopportabile la maggior parte degli esseri umani, soprattutto se mentre giocano stanno zitti, o si limitano a dire “Palla!”, “Out!”, “Briscola denari”, cioè le cose più intelligenti che diranno in tutta la loro vita. Che al poker online sia abbinata una chat, ma non un lanciafiamme interattivo, è già TROPPO per la mia sopportazione.
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Oggi, mattina presto di sabato, è capitato l’incredibile. Stavo litigando con la Madonna. Un po’ come mio padre che parlava con la stufa. No, non è questa la cosa incredibile. Lo sconforto può giocare brutti scherzi. L’avevo riesumata dal fondo di un cassetto, e ci stavo litigando. Le rinfacciavo tutte le mie rimostranze sull’inganno e la puzzonaggine delle istituzioni religiose. La cocente delusione della prima messa in ricordo della mamma a un anno esatto dalla morte. Avevo nove anni. Mi dissero vèstiti e andiamo che c’è la messa per la tua mamma. Potrò leggere una poesia per lei, dissi. No, ci pensa già il signor curato, disse mio padre. “Per la tua mamma”. E ci avevo creduto! Non pretendevo uno show in suo onore, con i canti e l’incenso, e la sua icona al posto della Vergine. Ma due paroline del prete apposta per lei. Dedicate proprio a lei. Davvero per lei. Un pensiero. Un ricordino. Una riflessione. Una cosetta durante la predica. Niente. Sapete come funziona, no? Venne nominata di striscio con burocratica freddezza al momento predeterminato. Quando nel rituale c’è una casella vuota e il sacerdote ci sbatte dentro il nome di chi è morto quel giorno un anno prima. Di chi è morto quel giorno tutti gli anni prima. Il 13 settembre mica era morta soltanto lei. Ricordati di nostra sorella Lucia. E di nostra sorella Giovanna. E di nostro fratello Mario… Una palata di nomi. Nella casella vuota. Che diavolo me ne poteva fregare, del loro “nostra sorella Lucia” nella casella vuota? Nel mio cuore sì, che c’era un vuoto. Spaventoso e indicibile. Dio, se c’era! Lucia era mia mamma, pensavo. Non era vostra sorella. Mia mamma adesso potrebbe essere mille cose. Un angelo, una goccia di pioggia, un bel sogno, l’amore che arde nel mio petto, la Donna di cuori nel mazzo di carte di un bambino, un bocciolo di rosa in oriente… Quello che solo so per certo è che cosa non è: lei non è nessuna cazzo di “nostra sorella Lucia” sbiascicata da un pretonzolo per quattro beghine. Vostra sorella un paio di cazzi! Lo gridai, piangendo. In chiesa. Così forte che l’eco della mia indignata voce bambina sarà lì ancora adesso che rimbalza tra le navate, in cerca di un’uscita. Non mi arrivò nessuno schiaffo. Anzi, mi parve di indovinare sul viso di mio padre un mezzo sorriso. Forse il primo della sua vita.
Non che fosse colpa sua, povera madonnina. Cominciava a farmi pena. Lì indifesa tra le mie grinfie blasfeme. Mi guardava basita e ingiustamente ferita. Ma io sbraitavo queste mie rimostranze alla signora Madonna morta un bel pezzo prima della mia mamma perché anche oggi era il maledetto 13 settembre, e mi frullava in testa una mezza idea di farla diventare un’abitudine di famiglia. Un giorno come un altro, per morire. Ma la mamma aveva tracciato la via.
Poi è successa la cosa. Alla pensioncina è venuto a cercarmi un tizio.