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“Assenti ingiustificati” di Simone di Biasio

Creato il 08 dicembre 2013 da Viadellebelledonne

copertina assenti ingiustificati

Poesie di un giovane, molto giovane. Ma con le idee chiare! Chi sono gli assenti ingiustificati? I meno giovani? I padri? Questa è la cosa bella di Simone: è un giovane che critica il mondo, il mondo in cui è appena venuto, che è tutto storto; ma questo è il bello: lui non si tira fuori, ci si mette anche lui, nel mondo. “Assenti in­giustificati” sono tutti, “siamo” tutti. Anche un giova­ne appena venuto, anche lui è assente ingiustificato. E ecco, allora, non c’è solo “la condizione giovanile oggi” in questo libro, o meglio c’è, ma c’è anche al­tro, c’è uno sguardo vero sul mondo, sull’uomo, su tutto, uno sguardo per giovani e meno giovani, per vecchi e per bambini. “Si dovrebbe chiedere alle cose / Di cosa hanno bisogno per nominarsi meglio”. Simone comincia da un luogo inatteso, che spiazza: la lingua. Perché tutti hanno ricette per raddrizzare il mondo: si dovrebbe far questo, quest’altro, toglier questo, metter quest’al­tro…, tutti si riempiono la bocca… ma nessuno pensa alla lingua.  Ci pensava il grande, antico filosofo Confucio, oggi più attuale che mai, che parlava di “raddrizza­mento dei nomi”, e identificava la sincerità tra parola e cosa con la Via, il Tao da cui tutto è generato (“Se non ci fosse la sincerità non ci sarebbero gli esseri”, diceva), fuoco etico e al tempo stesso politico, socia­le, buon governo di se stessi nel mondo. Simone sa bene che la lingua non è solo “strumen­to comunicativo”. Sa anzi che ridurla a questo è la peggiore barbarie. Simone non vorrebbe più comuni­cazione, ma più umanità: “Vorrei ci fosse più / Diffi­coltà / Nella comunicazione”. Spiazza perché abbatte il mito della comunicazione facile, sbandierato dalla pubblicità e dai media: “vorrei che il loro [dei bam­bini] italiano non fosse perfetto / lasciando nitida la cadenza / tra il dialetto di una terra / e il riverbero del qualcosa che ci ha partoriti”.  C’è nella lingua, dice Simone, qualcosa che ci pre­cede e ci supera, e anche nella terra dove questa lin­gua si impasta. Qualcosa che ci riguarda molto perché “ci ha partoriti”, e ha a che fare con noi, con il cuore di noi, della nostra umanità.  Alle origini della nostra lingua e della nostra civil­tà, noi chiamammo tutto ciò con una parola: gentilez­za. Questa parola apparve nella nostra poesia, che fu subito grandissima, con lo Stilnovo, Dante e Petrar­ca; fu la parola centrale dell’Umanesimo e del nostro Rinascimento. E dice Simone: “se ci si vestisse di gentilezza”. E dice poi anche, poco più avanti: “se il Pil si fon­dasse sul benessere e mai il contrario”.  Vedete con quale semplicità linguistica, una sem­plice inversione di parole, ci fa vedere come siamo noi storti, come noi pensiamo stortamente pur senza accorgercene, anzi pensando di pensare nel modo più semplice e naturale, dando per scontata e vera la stor­tura, il rovescio, seguendo le parole che si orecchiano, che rimbalzano da ogni canto della civiltà mediati­ca, come un ron ron, il battito d’un tamburo che ci ipnotizza. E penso a un’altra inversione, che incontriamo su­bito nella prima poesia: “identità di carta”. Come possiamo noi, con le nostre identità di carta, essere “presenti”? Come possiamo non essere assen­ti, e per di più ingiustificati? Abbiamo marinato la scuola, e non abbiamo la giustificazione. Possiamo fare solo una cosa: andarci, finalmente, a scuola.  Sedersi su un banco, stare zitti, e imparare. Essere tutti come allievi, tutti giovani come Simo­ne, appena entrati nel mondo.

Claudio Damiani

 

MENO FACILE

Vorrei ci fosse più difficoltà nella comunicazione,

che qualche messaggio

arrivasse di tanto in tanto in

ritardo,

vorrei poter raccontare di aver scritto una

lettera

– d’amore, di poesia, a mano –

vorrei che i bambini

non si parlassero al telefono

che avessero di meglio da colorare,

vorrei che il loro italiano non fosse perfetto

lasciando nitida la cadenza

tra il dialetto di una terra

e il riverbero del qualcosa che ci ha partoriti.

_

INFANTICIDIO

Quando avevo otto anni

– forse otto e mezzo o tre –

mi hanno insegnato

che bisognava crescere,

diventare adulti,

giocare presto a fare i grandi.

Ho perso il riflesso dei colori negli occhi

ma riesco a vedere

che oggi quei grandi

continuano a giocare in cortile

con le macchinine,

a guidare treni superveloci,

a rincorrersi in guardie-e-ladri,

a perdere al Monopoli.

È stata la bicicletta a due ruote

a consigliarmi

di non avere paura del coraggio,

che per non cadere

l’equilibrio è un maestro corrotto

perché basterebbe appena pensare

che ci sono sentieri anche nell’aria

e nelle bollicine.

_

ASSENTI INGIUSTIFICATI

Adesso sono tutti bravi,

sono bravi tutti

con la bacchetta

a spiegare i condizionali

i periodi ipotetici di morte

le teorie, che sono regola.

Ma gli uomini non sono bravi,

non sono affatto bravi,

sono eterni ripetenti.

Bisognerebbe bocciarli tutti alle elementari,

bocciarli tutti nelle cose elementari

le medie le potranno pure passare,

per non parlare delle superiori

delle cose superiori,

nessuno dovrebbe essere laureato

neppure gli dei lo erano

(non ricordo che Zeus

avesse discusso una tesi in cosmologia)

qua l’unica pluridecorata è la natura

che impartisce lezioni

a scolari distratti

e assenti ingiustificati.

_

PRIMA DELLA TV

Quando mio padre

siede a tavola

è l’unico trono per sentirsi re.

E quando siede a tavola

senza proferire parola

noialtri guardiamo a sinistra

rivolti a un televisore schermopiatto,

in un’apnea spastica

pronta a raccogliere domestiche ultim’ora.

Mi chiedo cosa guardassero,

contro chi comunicassero il silenzio

figli e mogli dell’era antetelevisiva,

quando padri e mariti

erano un televisore col tubo catodico

e cambiare canale

era il profondo corridoio

che dava sulla stanza dei vecchi.

_

COMPLICE

È giusto così

è giusto che la felicità non si faccia trovare

che la felicità non si trovi

in alcun posto e dovunque.

È giusto che la felicità si trovi

nelle soste lungo l’arduo viaggiare alla ricerca di lei

nelle pause dal respiro corto

nelle distanze da percorrere alla meta.

È giusto così

è giusto che la felicità non sia l’inizio

né la fine

che lasci sangue sulla lama del coltello,

un’impronta sotto le suole delle scarpe.

_

ARRINGHE

A quanto ammontano

i danni mortali?

In cosa constano

i morali danneggiati?

A quanti euro corrispondono

le moralità dannose?

Di quali parole sono imbalsamate

le arringhe degli avvocati,

chi pagherà i danni alla lingua

alle persone fisiche

chi sarà il moroso che non ama

o il secondo comma in stato vegetativo?

Certi nomi grossi

suggeriscono

comportamenti da tenere per legge

dichiarazioni fittiziamente false

procedure di riscossione:

il processo è aperto,

le parti l’una all’altra opposte,

la battaglia finisce su carte bianche

dalla rilegatura operata a macchina.

Prego, una firma qui…

_

GRAVITÀ

E se un giorno

un Galileo con l’iPad

scoprisse

che questa luna piena

attrae tutti i nostri corpi

come tanti mari umani

con tutta l’acqua dentro noi,

che il nostro vivere

coi piedi per terra

sia solo un quotidiano cocciuto tentativo

di opporre forza alla gravità,

alla gravità di tutte le nostre vicende.

E se un giorno

tutti scoprissimo

che è polvere di stelle

quella che si posa negli angoli dimenticati

E che sulla luna ci siamo sempre stati…

Simone di Biasio  “Assenti ingiustificati”

Edilet – Edilazio Letteraria – Roma, 2013

Simone di Biasio è nato a Fondi, in provincia di Latina, nel 1988. Laureato in Comunicazione a “La Sapienza” di Roma, è giornalista pubblicista e lavora come ufficio stampa per eventi ed Enti pubblici e privati. È tra i fondatori dell’Associazione “Libero de Libero”, nella quale riveste la carica di Presidente.



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