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"Il Racconto dei Racconti" opera ambiziosissima, adattamento impossibile de "Lo cunto de li cunti" in cui Matteo Garrone esplora l'anima fantastica del suo cinema. Operazione interessante e assai eccentrica sulla carta, che purtroppo non riesce mai a uscire fuori di sé, a cavalcare pienamente quel coraggio che l'avrebbe potuta portare assai lontano. L'impressione, superati i primi, folgoranti dieci minuti (in cui si trova la mirabile sequenza subacquea del drago), è di un'opera che non osa veramente, finendo per rimanere vittima delle stesse aspettative che aveva creato.
Ciò che manca, a mio avviso, è una certa libertà espressiva anzitutto sul versante della messa in scena. Qui Garrone non lascia liberi i suoi personaggi, non riesce a farli pulsare di vita, riducendo i loro caratteri a figurine ancorate/incollate allo schermo. Una volta entrati all'interno di questo mondo, perdiamo progressivamente qualsiasi senso di sorpresa, meraviglia o perfino disgusto. Il problema è che questo avviene all'interno di una cornice strutturalmente disequilibrata, dove le singole parti non bastano a legittimare l'insieme. Un peccato, perché è come se Garrone limitasse la sua poetica in vista di un pubblico internazionale, spegnendo alcune delle soluzioni visive più interessanti. Ne risulta un film troppo edulcorato e trattenuto, eccessivamente umorale ed episodico, dove ciò che viene meno è l'anima stessa del suo cinema: l'immagine, sontuosa, bellissima, pesante dell'ultimo Garrone, soffoca la vita del film.
Molti hanno parlato erroneamente di Cronenberg (!) come riferimento, ma ciò che manca qui è il corpo, il sangue, le ossa, perfino la pelle (nonostante, strepitosamente, si parli di lifting ante-litteram).
II racconto dei racconti non scende sotto la superficie dell'immagine e dei corpi, non diviene mai ipodermico o viscerale, non disgusta nemmeno quando si tratta di mangiare il cuore di un drago. E, all'interno di un regime più preoccupato a portare avanti le sue storie che a coltivare atmosfere e suggestioni, quello che manca è il senso di meraviglia inscindibile dalla fiaba, con tutto l'orrore che si porta dietro.
Certo, poi c'è il fascino innegabile delle creature mostruose (dal drago alla pulce gigante) che ci riporta a una concezione di cinema artigianale, lontano anni luce dall'abuso di computer graphica che inquina tanti titoli fantasy dei nostri giorni. Ci sono i costumi sgargianti, i colori saturi, le scenografie mirabili, eppure quello che manca - troppo spesso - è il film stesso (che soffoca, sepolto da un turbine di visioni barocche). E dispiace.
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