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Assisi, marciando si pulisce l’inconscio

Creato il 24 settembre 2011 da Albertocapece

Assisi, marciando si pulisce l’inconscioAnna Lombroso per il Simplicissimus

Una volta si diceva che gli americani ci avevano colonizzato l’inconscio: cinema, letteratura, architettura, consumi, pubblicità, potenza e impotenza, dominio e innocenza, ingenuità e arroganza. Oggi dobbiamo ammettere che il nostro inconscio è occupato per non dire posseduto da Berlusconi. Compreso anche l’eros di qualcuno, particolarmente emulativo seppur sprovvisto di analoghi mezzi.

E d’altra parte lui, i suoi affini, briatore, fede, corona, la loro spavalda spregiudicatezza nel testimoniare con gli atti che stare nel cerchio magico dell’immagine è tutto e la responsabilità è un appannaggio di sfigati e nullatenenti, l’impunità che sembra derivare meccanicamente da questa forma di sovranità fondata dalla loro onnipresenza intrusiva, l’esteriorità che diventa interiorità, la spettacolarizzazione della mediocrità e l’abitudinarietà all’eccesso, tutto questo concorre allo stravolgimento della realtà, in un’autobiografia collettiva fatta di inganni.

Uno stravolgimento che è anche semantico. Me ne accorgo quando uso alcune parole nel conversare o nello scrivere. C’è una evidente sorpresa per l’utilizzo, che per alcuni suona provocatorio, di termini che esprimono concetti universalmente considerati obsoleti arcaici e risibili. E siccome la provocazione mi accende ci sono volte che addirittura pronuncio la parola patria o nazione invece di sistema italia, solidarietà invece di commiserazione, pensiero al posto di azione, disobbedienza invece di consenso.

Ci ho pensato a proposito dell’appuntamento annuale con la coscienza, la Marcia che prende il via da Perugia verso Assisi e che quest’anno compie 50 anni. Nei confronti della quale ho sempre nutrito una certa occhiuta e sospettosa diffidenza per l’eccesso di anime belle e di pacifismo, di buoni sentimenti ecumenici ma anche di primato confessionale, rischioso in tempi di imposizione di un’etica pubblica replicata su quella della chiesa – che certo Assisi non è stata scelta per via di Giotto -, per via di quella che mi sembrava una certa giuliva accettazione dei mali del mondo, sia pure accompagnata da un encomiabile impegno. Quell’accettazione che diventava ricetto e accoglienza per tutti quelli che in 50 anni hanno partecipato per mostrarsi, per mettersi in evidenza o per darsi una rinfrescatina rapida alla coscienza con la scarpetta multicolore mentre votava le missioni “di pace”.

Oggi però ci ho ripensato. 50 anni sono tanti e nella marcia c’è gente che la fa da 50 anni e che, se ne conosco qualcuno, la fa guardando in alto, verso il gran sole carico d’amore, anche se con una certa fatica. E c’è poco da fare gli schizzinosi se qualcuno usa e agisce in un modo che sembra retorico solo a chi è sprofondato nell’anima opaca del paese, irriflessiva, conformista, quella che rifiuta la pesantezza dell’essere preferendo l’aerea inconsistenza del sembrare, la fatica del giudicare e dell’essere giudicati e che distoglie lo sguardo dall’impervio orizzonte della responsabilità, in un solipsismo auto assolutorio ben radicato dentro la favola degli italiani brava gente.
Quante volte certi marciatori – da maratona in poi – si sono sentiti dire che sono fuori dal mondo. È probabile infatti che abbiano i “piedi ben piantati in una nuvola”, che siano visionari. Ma è solo perché vedono meglio e guardano ancora a certe utopie, non quelle edificanti di una narrazione di buoni sentimento cui seguono cattive azioni: rifiuto, iniquità, respingimenti, lesione di diritti, egoismo, disprezzo per scelte e inclinazioni non condivise dal moralismo comune e conformista.

È che oggi pace in un mondo pieno di tanti cantieri di tante guerre – quelle solite per potenza fame prevaricazione profitto religione motivi dinastici e quelle nuove ammesso che ci sia qualcosa di nuovo in questa pratica così orrendamente umana – significa molte cose. Significa armarsi contro l’iniquità, l’abuso delle risorse e del territorio, la sopraffazione esercitata da un pensiero unico che è quello del profitto, la prepotenza del mercato e l’oligopolio di certe ricchezze usurpate ma fortissime, la limitazione dei diritti di cittadinanza nel mondo a chi si adegua, consuma, ubbidisce. Significa ascoltare l’urlo di chi è disperato e esige futuro e che ormai non vive in geografie lontane dalla nostra. Abbiamo bisogno di pace anche qui, perché non c’è pace senza giustizia e democrazia e legalità. E pare proprio che sia il momento di scendere in guerra per riprendercele.


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