di Matteo Boldrini
“Astensionismo ed elezioni amministrative”
Uno dei temi di cui più spesso si è parlato all’indomani delle elezioni amministrative è stato quello dell’astensione: in molte realtà si è infatti recata alle urne un numero decisamente ridotto di cittadini. La percentuale di elettori che si è recata ai ballottaggi è inferiore al 50% degli aventi diritto: un dato pesante, che va a peggiorare il risultato del primo turno e delle politiche di febbraio. La crisi della partecipazione al voto ha fatto parlare molto i commentatori politici, che si sono interrogati sulla qualità di un sistema democratico in cui vota meno della metà degli elettori, arrivando anche a mettere in discussione l’effettiva vittoria del centrosinistra a questa tornata elettorale, in quanto espressione di una ristretta parte della cittadinanza.
grafico partecipazione elettorale – da vittorioveneto5stelle.it
Viene dunque da chiedersi quanto l’affluenza sia o non sia un indicatore della crisi di un sistema politico o, peggio, di una democrazia. Se essa rappresenti un segnale della crisi di rappresentanza dei partiti attuali o di un più generale disinteresse verso la cosa pubblica. O se invece, al contrario, un certo grado di astensione (anche elevata) possa essere fisiologico o addirittura benefico per una democrazia. Cosa non irrilevante, poi, il voto è tuttora previsto come dovere civico dall’art. 48 della Costituzione, formula ambigua su cui ci soffermeremo in seguito, e viene da domandarsi se abbia ancora senso una tale disposizione nella Carta di un Paese in cui vi è una crisi della partecipazione.
In Italia questo argomento è sempre stato molto spinoso, poiché gli italiani sono sempre stati (e lo sono tuttora) molto partecipi al voto, e se paragonati agli altri cittadini europei evidenziano risultati davvero stupefacenti. La propensione per il voto degli italiani ha radici profonde così come la norma stessa sul “dovere civico”. Essa da una parte non configura un vero e proprio obbligo legale, ma comunque considera la partecipazione alle elezioni come dovere basilare del cittadino. In realtà questa formula fu inserita perché la Democrazia Cristiana temeva di avere una capacità di mobilitazione inferiore ai partiti della sinistra, quindi, per evitare una sconfitta elettorale alle elezioni del 1948, inserì questa norma per cercare di portare quanti più elettori possibili a votare. Fu preferita la dizione “dovere civico”, in fin dei conti vaga e poco incisiva, ad una formula più rigida, perché alcune forze laiche e liberali erano contrarie all’idea del voto come un dovere.
L’affluenza si è comunque mantenuta su livelli estremamente alti, spesso sfiorando il 95% degli aventi diritto, un dato enorme se paragonato con gli altri Paesi europei e non. Peraltro, era fortemente trainata dai partiti di massa e dalla forte ideologizzazione del sistema. I partiti del tempo erano radicati sul territorio e nella società, riuscendo a mobilitare in maniera capillare ogni fascia di elettorato, che fosse interessata e motivata o meno. L’astensione comincia ad aumentare gradualmente dall’inizio degli anni Ottanta, quando inizia ad entrare in crisi la forza organizzativa di questi partiti e si assiste a un notevole calo di polarizzazione ideologica.
Da lì arriva fino ai giorni nostri, dove c’è un bassissimo grado di ideologizzazione e la capacità dei partiti di mobilitare l’elettorato è fortemente ridotta. Fare un raffronto con i dati passati rischia di essere fuorviante, perché, anche se è indubbia la maggiore partecipazione, durante la Prima Repubblica erano le macchine organizzative dei partiti a trascinare l’affluenza, portando a votare anche i meno partecipi alla vita politica. Inoltre, deve anche essere considerato il largo uso del voto clientelare, che veniva fatto da numerosi partiti. Senza dubbio, una minore affluenza è fisiologica in una democrazia contemporanea con referenti ideologici più deboli.
Resta difficile dire se una maggiore astensione sia una cosa salutare per un sistema politico. Se il calo dei votanti coinvolge quei settori di elettorato meno interessati, meno informati e soggetti a pratiche di voto occasionale, allora vi può essere un miglioramento dalla qualità democratica, aumentando il peso politico di quei soggetti che sono realmente informati e motivati. Non bisogna infatti dimenticarci che dietro il diritto/dovere al voto c’è il complementare diritto/dovere all’informazione e alla partecipazione, essenza stessa della democrazia. Comunque, evitando i discorsi moralistici, il non voto rimane una posizione politica estremamente rilevante, in quanto gli astenuti rappresentano una fetta di elettorato non raggiunti da nessuna forza politica, un ampio bacino di consensi dal quale le forze politiche possono attingere nel bene o nel male. Un bacino che ai giorni nostri si sta gradualmente ampliando e che aspetta di essere sfruttato da qualche abile leader politico.
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