Al GAMeC di Bergamo una stanza del primo piano è dedicata a At the end of the line di Andrea Mastrovito. Descrivere la stanza allestita dall’artista bergamasco è complicato, perché le parole tolgono poesia alla scoperta che, saliti quei pochi gradini, il visitatore fa.
La prima cosa è una luce abbagliante. Una luce che viene dai muri, bianchissimi, che emanano un pulsante lucore. Ci si affaccia alla porta, la stanza è altissima e lunga, come un gigantesco vagone di un treno disegnato da Dino Buzzati. Sul principio non si distingue nulla. In fondo, sulla parete in faccia, scarabocchi.
No, è una foresta. Disegnata a carboncino. Sul pavimento lapidi. Poi si capisce che non sono esattamente pietre tombali, ma carboncini di pietre tombali. Che Mastrovito si è recato in alcuni cimiteri monumentali in Italia, negli Stati Uniti e in Inghilterra, e ha scelto cento tombe.
La prima è di un neonato morto. L’ultima di una donna di 100 anni. Tra la prima e l’ultima c’è un morto per ogni età. A un anno, a due anni, a tre anni e così via sino ad arrivare a cento, una dopo l’altra come un percorso del gioco della campana (il mondo) con morti fiorentini, inglesi, newyorkesi: la morte diventa quasi gioco, certamente è sdrammatizzata. Sono lapidi bellissime, alcune maestose con pochissimo testo, altre con tutta la vita del defunto ricostruita a parole.
Impossibile evitare di cercare la propria età e di vedere a quale morto corrisponda. Il mio è una donna morta probabilmente di depressione dopo la scomparsa della figlia. Le lapidi sono un lavoro a sè, il cui titolo è Gli altri (2014). Il pensiero corre subito alla pavimentazione di una chiesa antica, coperta di cenotafi. Ci si scorda, in parte, di essere in una stanza ipermoderna, si sogna di essere in un luogo antico.
Quindi si procede, piano piano, verso la parete di fronte, verso Et in Arcadia Ego… (2014), il disegno a grafite realizzato direttamente sulla superficie del muro riproducendo un paesaggio di alberi a fusto sottile. A mano a mano che ci si avvicina, dal muro sembra magicamente emergere una composizione tridimensionale, mimetizzata con il paesaggio perché Mastrovito ci ha disegnato sopra: sono tre statue classiche (che sembrano in plastica), inglobate al disegno al punto da appiattirsi (in lontananza) in un illusorio gioco di mimetizzazione.
Solo progressivamente si rivelano, e se si indietreggia guardando la parete, a poco a poco le si vedrà scomparire di nuovo nel disegno, tra gli alberi. Un pezzo di carta contiene potenzialmente un mondo inesplorato, narrazioni possibili, immagini, pensieri e riflessioni sui quali tempo dell’arte potrà raccontare vissuti come attitudine del fare.
Sul muro a destra un collage. Si chiama Melancholia III (2013), omaggio alla celebre incisione di primo Cinquecento del maestro tedesco Albrecth Dürer. L’acrilico di Mastrovito immortala un uomo nell’atto di lanciare una fionda. Un gesto bloccato sullo sfondo di un paesaggio desertico di neri e di grigi, mentre al centro galleggia un poliedro a citazione dell’acquaforte düreriana.
In un corridoio, si proietta K3 (2014), video animato che attraverso l’alternanza di milleduecento disegni traccia le concitate movenze di una trapezista rovesciata. I capelli ne rincorrono i movimenti, le gambe azzuffano l’aria mentre il trapezio la trattiene, capovolta, in un magico momento di intermezzo dorato. Il cartone è stato disegnato da Mastrovito fotogramma per fotogramma. La proiezione è sulla parete coperta di foglia d’oro.
Written by Silvia Tozzi
Info
GAMeC
via San Tomaso, 53 – Bergamo