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Atene, Città Aperta – guest post di Marco Dominici.

Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite
  • Categoria Cuore
  • Categoria Stopmaco
  • Categoria Cervello

L’articolo che segue è il primo Guest Post su Destinazione Cuore Stomaco e Cervello.

L’autore è Marco Dominici, vive ad Atene, dove lavora nell’ambito editoriale. Ha condiviso con me l’esperienza Librinnovando ed è co-autore de La Lettura Digitale e il Web. Su Twitter è mediadigger e co-gestisce il blog Dei Libri Passati Presenti e Futuri.

Quando scrive di Grecia, Marco Dominici lo fa su Che Cosa Ci Faccio qui? e twitta dall’account Groucho68.

Atene, Città aperta.

Per capire una città, si sa, bisogna camminarla. Percorrerla a piedi o sui mezzi pubblici (o magari prendere il taxi e conversare con l’autista); fermarsi ai crocicchi di piazza, o origliare nei caffè per conoscerne gli umori, le ubbie, le paure. Questo è tanto più vero se la città è Atene, l’Atene della Grande Crisi che ha portato in pochi mesi la disoccupazione dal 12 al 20% e i cittadini ad uno stato di prostrazione mai vista negli ultimi 40 anni.

Cosa si apprende camminando per Atene?

Ci sono due tipi di percorsi: il percorso di quartiere e quello del centro.

Nel quartiere dove vivo la scena è molto simile a quella vista in molti altri: si cammina tra le saracinesche abbassate dei negozi chiusi e la scritta “affittasi”. Ogni giorno sono di più, e quasi a volte viene spontaneo il macabro gioco di “indovina che negozio chiuderà domani” e quasi sempre purtroppo ci si indovina, e da due si passa a cinque la settimana seguente, e poi otto e in breve l’intera via ha l’aspetto di una dentatura marcia, dove i denti bianchi delle vetrine illuminate sono sempre più rari e più grande lo spazio scuro tra un negozio aperto e l’altro.

Sempre più spesso in giro vedo persone che spingono carrelli della spesa pieni di qualsiasi cosa sia salvabile, trovata qua e là, e altrettanti sono gli uomini che cercano tra la spazzatura alla ricerca di qualcosa da mangiare, da rivendere o da aggiustare; persone che da un giorno all’altro hanno perso lavoro e casa, o schiacciate da debiti insolvibili (c’è da dire che qui in Grecia i mutui venivano concessi con magnanimità e non poche famiglie ne avevano due, se non tre o più).

Ma quello greco è anche un popolo ironico, degno erede di Aristofane, e allora per le vie di Atene è anche possibile sentire squillare il cellulare di un tizio che ha scelto come suoneria la frase dell’ex premier Papandreou il quale, al momento di assumere l’incarico disse: “Lefta iparhoun” che significa: i soldi ci sono. Frase diventata ben presto tragicamente comica, fino a essere scelta come titolo per uno spettacolo teatrale (ovviamente satirico) e, appunto, come suoneria scaricabile dal web.

Il mio quartiere è un quartiere centrale ma piuttosto tranquillo, fuori dalle grandi manifestazioni di questi giorni, e la presenza della sede centrale della polizia lo rende in parte più sicuro ma in parte anche bersaglio delle ondate di rabbia verso gli “sbirri maiali assassini”, come vengono ormai da tempo apostrofati i poliziotti greci.
Il mio quartiere, come quasi tutti i quartieri di Atene, ha un’area esclusivamente dedicata a bar, caffetterie, piccoli ristoranti tipici e locali di vario tipo dove però i greci vanno sempre di meno, dal momento che dove c’erano due stipendi ora ce n’è uno solo – se va bene – e, se va bene, dimezzato.

La crisi non ha pietà di nessuno, salvo che per i soliti noti, i quali però non abitano in quartieri come il mio, ma in universi paralleli che noi comuni mortali non riusciamo né a raggiungere né a immaginare. Qui ad Atene la cosa curiosa è che la periferia – a parte il quartiere chic di Kolonaki, centralissimo – è l’area più benestante, con i villini a due piani e piscina pensile e dove le vie hanno la dentatura perfetta; il centro invece è ormai in uno stato di abbandono totale, zona privilegiata per traffici illeciti, occupazioni abusive e dove gli immobili hanno perso quasi del tutto il loro valore di un tempo e vengono svenduti ai moderni mercanti di schiavi che ci ficcano dentro grandi manciate di immigrati clandestini.

Ma è proprio in centro che la camminata, soprattutto in questi giorni, è più significativa e più drammatica.

Decido di fare un giro proprio il giorno che segue la guerriglia del 12 febbraio e trovo il centro di Atene a malapena riconoscibile: palazzi incendiati, sventrati, devastati, vie interrotte per lasciar lavorare pompieri e spazzini che portano via detriti e schegge di vetri dal selciato. A dire la verità non si tratta di uno spettacolo nuovo qui ad Atene, soprattutto a partire dal 2008, ma questa volta la distruzione è di scala ed entità decisamente maggiori.

Il cinema Attikon ne è un esempio eloquente: era uno dei più chic di Atene, prima che arrivassero i multisala: ospitato in uno dei vari palazzi neoclassici del centro storico di questa città che paradossalmente, a parte il Partenone, concede ben poco alla storia passata, manteneva ancora un certo suo prestigio presso gli ateniesi. Ora è un ammasso di macerie fumanti in cui i pompieri si muovo cauti, per timore che crolli qualche ultimo asse carbonizzato che oscilla tra le finestre cave.

I semafori agli incroci pendono dai fili senza più regolare un traffico più caotico che mai, e le facciate annerite di alcuni edifici si addicono più a città dai nomi esotici e inquietanti come Kabul, o Baghdad o – recentemente – Homs. Eppure questa è Atene, oggi. E probabilmente anche domani. E chissà per quanto.

Perché la crisi non è certo finita con il voto del parlamento di ieri [ndr, 12 febbraio]; anzi, quel voto la crisi la esacerberà, rendendola ancora più intollerabile e odiosa a cittadini che si ritrovano da oggi con stipendi ancora più bassi e precari e un futuro senza certezze, se non quella di essere ancora peggiore del presente.

Forse il fallimento e il ritorno alla dracma sarebbero stati il colpo di grazia, ma questa somiglia molto ad una lenta agonia che nessun popolo merita, per quanti errori possa aver commesso.

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