La Scuola Archeologica Italiana di Atene rischia di chiudere. Fu istituita nel 1910 per dare all’Italia un’istituzione come quella che avevano in Grecia ed Oriente gli altri paesi europei. È stata sempre un ponte tra la cultura italiana e la greca. Dalle sue aule è passato il meglio dell’archeologia e dell’architettura italiana, tra docenti ed allievi.Leggendo il loro elenco si scopre, oltre a gente che in un certo senso ci si aspetta, anche altra, lontana dell’idea che molti hanno dell’’archeologia. Un nome fra tutti, Italo Insolera, architetto che dedicò la sua vita all’urbanistica e alla tutela dei centri storici italiani, e che forse vide nascere la sua vocazione assistendo, nell’Atene degli anni ’50, alla distruzione del più bel centro storico neoclassico del mondo operata da una miope speculazione edilizia.
La scuola ha avuto i suoi momenti bui, quando le leggi razziali la lasciarono senza il suo direttore, Alessandro della Seta, quando nel 1940 scoppiò la guerra, quando i Tedeschi ne arrestarono il nuovo direttore, Luciano Laurenzi, e la chiusero affidandone i beni a quella ungherese, cui subentrò, all’arrivo degli Alleati, quella svizzera. Laurenzi riuscì a riaprire la scuola nel primo dopoguerra, quando Italia e Grecia erano due paesi distrutti; e ciò fu una delle pietre miliari della loro riappacificazione, il segnale della volontà dei due popoli, soprattutto di quello greco, di ricucire antiche amicizie. Una delle occasioni in cui l’archeologia si è dimostrata un’attività ben inserita nella realtà che la circonda. Del resto nel 1947, mentre il nuovo direttore, Doro Levi, teneva il suo primo corso, il capo del governo greco era Sofoulis, un archeologo (che aveva come ministro il più grande italianista greco di sempre, tale Kazantsakis; altri tempi).
Inutile dire che i costi (borse di studio, gestione di una sede di proprietà e della biblioteca, pubblicazioni scientifiche), sono inferiori ai benefici, che si valutano in termini di prestigio internazionale – tutti i paesi che contano hanno una scuola archeologica ad Atene – nella preparazione di giovani che lavoreranno in università, musei e soprintendenze, nel supporto alla ricerca italiana in Grecia. Pochi spiccioli, che però sono sempre meno, tanto che l’anno prossimo si dovrà attingere alle riserve (che ci sono, perché la scuola è in attivo) per garantire il pagamento degli stipendi al personale che lavora in Grecia. Sì, in Grecia, dove c’è la crisi che sappiamo, e la chiusura della scuola per un capriccio burocratico metterà sul lastrico un’altra dozzina di famiglie. Funziona così: ogni tanto qualcuno propone la chiusura. Che ciò si traduca in un vero risparmio, non si sa; ma proporre di sfoltire fa fare bella figura. La scuola si è salvata di recente per l’intervento del presidente Napolitano, ma non basta: si riducono i finanziamenti a 370.000 euro, praticamente il costo degli stipendi. Così si può sostenere, malgrado 100 anni di lavoro e di gloria, a Creta, nel Peloponneso, a Lemno, che la scuola esiste solo per pagare gli stipendi, non per raggiungere fini istituzionali: l’anticamera della chiusura. Poi scade il consiglio di amministrazione, nessuno ha tempo di chiarire quanti consiglieri vadano nominati, e la scuola risulta priva degli organi statutari: la certezza della soppressione.
In questi giorni il direttore, Emanuele Greco, ed i suoi allievi, raccolgono firme. Bene, ma servirà? Le prospettive non sono rosee: andiamo incontro ad una brutta figura internazionale per un risparmio che non esiste. Però avremo “sfoltito”.
40.980141 29.082270