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ATLANTIDE E LA SARDEGNA #civiltà #platone #mito

Creato il 12 ottobre 2013 da Albertomax @albertomassazza

atlantideSo che qualcuno rimarrà deluso, ma non mi interessa perorare la causa dell’identificazione dell’Atlantide di Platone con la Sardegna. E non perché credo che Atlantide sia da un’altra parte, ma perchè la considero un mito e come tutti i miti, raccoglie memorie precarie di tempi lontani, abilmente interpolate dal genio narrativo di Platone in funzione dimostrativa della propria idea politica. Atlantide rappresenta, con la sua megalomania, l’antitesi della società perfetta, rappresentata dall’idealizzazione dell’Atene arcaica. Il racconto fatto dal sacerdote di Sais a Solone non è che una trovata narrativa per rafforzare il proprio racconto con un’autorevole testimonianza, né più né meno come il manoscritto del seicento per Manzoni.

Nel mito raccontato da Platone convergono echi di cataclismi epocali (l’esplosione dell’isola di Thera/Santorini, avvenuta presumibilmente intorno alla metà del II millennio a.C.) e di misteriose civiltà che avevano colonizzato immensi territori. Ora, Thera apparteneva all’area di civilizzazione Minoica, ma il suo nome richiama Tirrenia, quel territorio posto da Platone subito oltre i confini dell’immenso impero atlantideo. Tirreni erano, per i greci, gli etruschi, ma il significato della parola, costruttori di torri, chiama in causa quelli che fornirono un fondamentale apporto per la formazione della civiltà etrusca: i nuragici. Thera è anche il nome del padre di Abramo che, nel libro dei Patriarchi, accompagna il figlio nella sua migrazione da Ur ad Harran, dove muore prima che il figlio intraprenda ulteriori migrazioni, prima verso Canaan e in seguito in Egitto.

Cosa c’entra Abramo con il mito di Atlantide? Il racconto biblico, anch’esso mitico e da non prendere in senso storico, sintetizza le grandi migrazioni di popoli che avvennero nell’antichità. In particolare, quella di cui furono protagonisti gli Jam, popolazione indo-etiopica che, dopo aver disseminato di torri la costa meridionale dell’Arabia ed aver svolto, grazie alla ricchezza di rame e all’abilità nella navigazione d’alto mare, un ruolo di cerniera tra le civiltà Egizia, Mesopotamica e della Valle dell’Indo, intorno alla metà del III millennio a.C. fece perdere le proprie tracce. Ma i segni di un loro stanziamento nelle coste sud-orientali del Mediterraneo sono molteplici: dalla toponomastica egeo-anatolica e siro-palestinese al Pantheon minoico (come la Dea dei serpenti, nera e dal copricapo turrito). In questo modo si spiegherebbe la diffusione di miti originari della Mesopotamia (Paradiso terrestre, Torre di Babele, Diluvio) nel Mediterraneo. Gli Jam trovarono successivamente in Sardegna l’isola ideale per intrecciare una fitta rete d’empori sulle coste occidentali del Mediterraneo, senza dover sostenere la concorrenza dei cretesi, anch’essi esperti navigatori.

Le testimonianze di questa florida civiltà, estesa su un immenso territorio, si possono rintracciare sia in documenti storici che in racconti mitici. Nel primo caso, ci si riferisce ai Theresh, uno dei cosiddetti Popoli del mare, ritratti in compagnia dei loro conterranei Sherden nei cicli pittorici egizi celebranti la vittoriosa resistenza all’invasione e raffigurati come neri dal copricapo turrito. Inoltre, le tipologie costruttive  di indubbia ascendenza nuragica, disseminate lungo le coste dell’occidente mediterraneo, sono la testimonianza più chiara della loro egemonia culturale su un territorio immenso. Per quanto riguarda i riscontri mitici, detto delle raffigurazioni egeo-minoiche, si possono citare i Turan dell’Avesta e di altri poemi iranici, il Tersite brutto, nero e attaccabrighe dell’Iliade e il terribile mostro marino Iku-Turso nel Kalevala, poema nazionale finnico.

Ma c’è dell’altro. Il racconto di Platone è stato messo in relazione con miti precolombiani che narrano di una civiltà originaria eclissata a causa di un immane cataclisma. L’America, ufficialmente, è stata scoperta da Colombo nel 1492, anche se è ormai acclarato che già i Vichinghi ne avevano frequentato le coste settentrionali. In molti studiosi sostengono che già i Fenici avevano frequentato le coste caraibiche e sudamericane. E se facessimo un ulteriore breve passo indietro, per sostenere che la via per l’America non fu aperta dai fenici, ma dai popoli che dominarono il mare prima di loro, i neri Tursi-Tirreni-Theresh e i loro conterranei bianchi Sherden?

La mitologia precolombiana è densa di riferimenti e di rappresentazioni che renderebbero plausibile una simile idea, ad iniziare dal bianco biondo barbuto Viracocha, originario della cultura Tiahuanaco, che nella civiltà Inca è assurto a un ruolo di demiurgo della civiltà. Il mito del suo cammino civilizzatore per l’altopiano andino rivela analogie sorprendenti con il racconto biblico. Ma anche le rappresentazioni di figure dalla fisionomia negroide con copricapo a forma di torre sono diffuse in diverse culture e civiltà americane. Ciò aiuterebbe a comprendere le similitudini di certe tipologie costruttive del Nuovo mondo con quelle delle antiche civiltà monumentali del Vecchio. Inoltre, risolverebbe l’enigma delle tracce di cocaina e tabacco, trovate da antropologi e archeologi tedeschi oltre vent’anni fa, in mummie egizie risalenti anche al 1000 a.C.

Ricapitolando, a mio parere la Sardegna non è identificabile con Atlantide, ma i popoli che la abitarono sono legati a doppio filo con il suo mito. Un mito costruito sulla memoria precaria di immani cataclismi e di civiltà scomparse, arricchite, chissà, dal racconto di qualche viaggiatore ritornato da un lontano continente. Chi vuole può continuare a cercare i bassi fondali fangosi per stabilirci le sue Colonne d’Ercole, anch’esse rielaborazione di un mito di origine mesopotamica, l’aldiquà e l’aldilà, passato prima nelle mani dei fenici e poi in quelle dei greci. Per conto mio, alle forzate mistificazioni strumentalizzate a scopo di marketing turistico preferisco il fascino misterioso di una ricchissima storia ancora tutta da scoprire.

qui una galleria comparativa

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