La sensazione a fine visione è quella di un prodotto fuori tempo massimo, “Attacco al potere 2” diretto da Babak Najafi (iraniano al suo esordio nel cinema statunitense) è uno spettacolo già vecchio, nato datato come lo era il prototipo originale di Antoine Fuqua (che dirigeva la sua pellicola meno riuscita dai tempi del brutto “King Arthur”, ma dall’incredibile successo di pubblico).
La strana coppia in corsa tra le strade di LondraMa se il capostipite del 2013 poteva contare su uno scenario “segreto” ai non americani come la Cassa Bianca (anche se Emmerich riusci a sfruttarla in modo più divertente con il sottovalutato omaggio agli action ’90 che è “Sotto Assedio“), capace almeno di tenere viva la curiosità, questo seguito ambientato a Londra non ha la stessa forza trainante, ma evidenzia il maggior problema che questa ipotetica saga ha insita nella sua struttura narrativa: la totale assenza di ironia. La vicenda inizia con la morte del primo ministro inglese architettata da un mercante d’armi in cerca di vendetta per la morte della figlia. Il funerale diviene una chance perfetta per uccidere i capi di stato presenti (la rappresentazione di quello italiano tra l’altro fa vergognare di essere italiani).
Il tempo non è clemente, specie con il decadimento attorialeQuello che il terrorista non ha calcolato è il capo della sicurezza presidenziale USA che è ancora una volta Mike Banning (Gerard Butler imbolsito e in rapida discesa dal podio di star d’azione), il quale non solo porterà in salvo il presidente, ma riuscirà anche a neutralizzare l’intera cellula del terrore insidiatasi nella capitale del regno unito. “Attacco al potere 2” funziona non al meglio solatanto quando i proiettili volano sullo schermo (e per un film di genere non è un buon biglietto da visita), inceppandosi completamente quando tenta di dare un minimo spessore a personaggi e storia. Il lavoro svolto da Babak Najafi non riesce a distinguersi per particolari meriti, ma riesce a mettere bene in evidenza le mancanze, prima su tutte il tentativo fallito di proporre un “more of the same” su scala dimensionale maggiore.
Freeman torna anche in questo seguito, l’unico motivo deve essere la pagaA farne le spese in questo groviglio di luoghi comuni macchiettistici è proprio la figura del protagonista, che seppur ripresa dal primo capitolo i tentativi di umanizzarla e renderla una sorta di ibrido tra il Bond di “Spectre” è il McClane di “Die Hard”, non fanno altro che disinnescare la spettacolarità delle gesta compiute. Gli amanti del primo capitolo non faticheranno a sopportare anche questo seguito, ma lo spettacolo è ancora più misero e la sensazione finale non è tanto quella di un’occasione mancata, ma di un sincera perdita di tempo.