18 FEBBRAIO – Copenhagen piange ancora, inconsolabile, l’uomo morto da eroe lo scorso 15 febbraio durante l’attacco terroristico che ha scosso l’intera capitale danese. In città era in corso un convegno dal titolo Arte, blasfemia e libertà di espressione per commemorare le vittime del giornale Charlie Hebdo, quando un cecchino ha fatto irruzione armata nel Krudttoenden café dove si svolgeva il dibattito ed ha aperto il fuoco. Tre feriti ma fortunatamente, in questo caso almeno, nessun morto. Tra gli ospiti del convegno, c’erano anche due obiettivi particolarmente ambiti dal terrorismo islamico, ossia l’ambasciatore francese François Zimeray e il vignettista Lars Vilks, autore di molte delle vignette contro Maometto pubblicate qualche anno fa sui giornali danesi. In seguito, l’assalitore ha tentato di irrompere anche in una sinagoga, ma l’intervento del custode 37enne Dan Uzan ha permesso di evitare la strage, a costo della stessa vita dell’uomo.
Le forze dell’ordine parlano di circa 50 colpi sparati dagli attentatori contro i militari. Purtroppo, poco dopo gli scontri, i terroristi si sono dileguati a bordo di una Volkswagen rinvenuta in seguito a qualche kilometro dallo stesso Krudttoenden café. Senza dubbio, hanno precisato le autorità danesi, si tratta di un attacco terroristico di matrice islamica radicale. È difficile stabilire se gli attentatori appartenessero ad Al Qaeda o al Califfato, ma certamente hanno coltivato negli anni rapporti significativi con il gruppo estremista Sharia4Danemark, il cui leader è il belga Fuad Belkacem. Belkacem è stato condannato a 12 anni di reclusione per aver arruolato numerosi giovani tra le fila dei combattenti siriani. Molti di questi combattenti sono figli di musulmani che non si sono integrati nella società europea e, complice anche l’elevato tasso di disoccupazione, hanno attuato un progressivo avvicinamento a gruppi eversivi organizzati, interessati all’intervento armato in
Siria. Hobil Lahdor, rappresentante delle comunità siriana ed irachena a Copenhagen, ha sottolineato di recente in un’intervista: «Molti giovani sono partiti dalla Scandinavia per raggiungere Raqqah, ma altri operano qui tra noi. La disoccupazione, che non ha risparmiato di questi tempi neppure la Danimarca, è una delle cause che alimenta questa forma di jihad. Si avverte tra loro l’insano desiderio di rispondere alla chiamata alle armi da parte del Califfo Al Baghdadi o di altri leader del terrore».
Un terrore che tiene in scacco l’Europa e che, in questo caso, è costato la vita a Dan Uzan. Figlio di madre danese e di padre israeliano, secondo le testimonianze Uzan ha impedito che la sinagoga di Copenhagen divenisse teatro di una strage ben più sanguinaria. È morto sotto i colpi dei terroristi, ma ostacolandoli nell’accesso ai locali ha permesso a coloro che erano presenti all’interno di mettersi in salvo. In particolare, nel giorno dell’attentato la sinagoga era in festa per il bar mitzwa –maggiore età- di una ragazza. Dan Rosemberg Asmussen, capo della comunità ebraica danese ha espresso tutto il rammarico per la perdita di un ragazzo definito da tutti generoso e sempre pronto ad aiutare. «Siamo in stato di shock al pensiero che uno dei nostri più giovani membri sia morto la scorsa notte. Non c’è mai stata tanta polizia così armata per strada e così vicina alla sinagoga. Eppure, nonostante questo un uomo è riuscito a sparare. E’ una tragedia».
Silvia Dal Maso
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