![Attachment parenting: crescere i figli con empatia [la società del distacco] Attachment parenting: crescere i figli con empatia [la società del distacco]](http://m2.paperblog.com/i/59/592445/attachment-parenting-crescere-i-figli-con-emp-L-chJuJt.jpeg)
All'origine di questo atteggiamento c'è da un lato l'aspirazione ad un modello umano basato sull'autodisciplina; dall'altro la diffidenza verso tutte quelle manifestazioni umane che sfuggono ad un controllo, una definizione e una previsione certa.
La tendenza a controllare e quella ad essere controllati va insieme: adulti cresciuti con questa filosofia sono più facili a conformarsi a norme dettate dall'esterno e ad accettare acriticamente definizioni della realtà imposte da chi possiede autorità; inoltre si sentono minacciati dall'esistenza di comportamenti "fuori della norma", e sentono il bisogno di riportarli entro gli schemi noti. Coloro che hanno da bambini sofferto per adeguarsi alle aspettative degli adulti, andando contro i propri istinti, oggi, adulti a loro volta, desiderano negare questa sofferenza e, riaffermando la bontà dei metodi che hanno subìto, perpetuarla nelle nuove generazioni.
L'approccio genitoriale "distaccato" discende da questa cultura, e si basa su una serie di premesse negative. I genitori, nel decidere ciò che è giusto o benefico per il bambino, non si basano sulle loro percezioni e intuizioni, né sull'osservazione del bambino stesso: il centro generatore delle regole da seguire è esterno alla famiglia, un insieme di norme eterocentriche da applicare rigidamente, senza variazioni od eccezioni. Si dà particolare importanza alla "coerenza" (cioè all'applicazione sempre uguale della regola, a prescindere dalla situazione) e alla ripetizione come mezzo per fissare la norma nel comportamento del bambino. Dietro questo criterio c'è l'idea che né il bambino, né i suoi genitori, siano in grado di cavarsela da soli, percepire correttamente le proprie esigenze, fare delle scelte, sviluppare delle soluzioni appropriate per il benessere familiare. Così i genitori, convinti di non essere competenti su come allevare bambini, si affidano alla guida di "esperti" esterni alla famiglia stessa, e poco incide sul risultato finale se queste voci autorevoli provengono da un pediatra, uno psicologo, un libro di puericultura o una rivista commerciale per neo-mamme.
Un'altra idea sottintesa è che i genitori, ma soprattutto i bambini, tendono istintivamente verso l'errore. I bisogni del neonato sono "capricci", i suoi comportamenti sono pericolosi per sé oppure socialmente inaccettabili, maliziosi oppure selvaggi. Allevare un bambino significa, secondo questa accezione, fare la guerra a tutto ciò che in lui non risulta conforme al "giusto" modello di essere umano; significa ostacolare, deviare, correggere i suoi comportamenti spontanei finché il bambino non si adegua ad uno stile e delle abitudini ritenute "normali". è un metodo pedagogico lineare, un percorso a senso unico che va dall'adulto al bambino. Viene definito dalle istituzioni didattiche "scolarizzazione", da certi operatori psicologici "acquisizione dell'esame di realtà" e dai pediatri "regolarizzare il bambino"; ma la cruda verità è che si tratta di un lento lavoro di condizionamento teso a modellarlo, come fosse "materia grezza", entro una forma accettabile per la società.
L'ideologia sottesa a questo approccio si esprime in una serie di affermazioni categoriche, che i nostri genitori, e le madri in particolare, si sentono ripetere continuamente da fonti più o meno autorevoli:
- il bambino ha bisogno di essere abituato ad una regolarità delle sue funzioni fisiologiche (mangiare, dormire, evacuare);
- il bambino non sa di cosa ha veramente bisogno per il suo benessere fisico e psicologico, per cui gli va insegnato a sopportare di non essere accontentato, e va "aiutato" invece ad accettare le cure fisiche e psicologiche che lo renderanno sano e felice;
- il bambino tende a opporre resistenza al superamento delle tappe di crescita (mangiare, saper stare da solo, apprendere nozioni) e quindi va esercitata una forzatura perché progredisca: insomma matura e diventa autonomo perché viene costretto;
- Il mondo è pericoloso e difficile, e la vita è una lotta per l'esistenza: quindi il bambino va temprato a questa lotta altrimenti non apprenderà a difendersi e sopravvivere;
- doloroso: chi non soffre non cresce.
Da dove provengono allora tali teorie, e da dove prendono forza e legittimazione? Esse hanno precise radici storiche e culturali. >>> ___________________________________________
[inizio][la società del distacco][le radici delle teorie pedagogiche][due modelli a confronto][essere genitori controcorrente][l'utopia concreta dell'empatia][e le cattive abitudini?] ___________________________________________ Fonte: allattiamo.it