di Michele Marsonet. C’è uno strano filosofo che gira il mondo incontrando capi di Stato e leader della diplomazia internazionale combinando un sacco di guai. Detta così la notizia suona ridicola, ma non lo è affatto.
Si provi a leggere il recente libro di Hillary Rodham Clinton “Scelte difficili”, un volume di memorie dedicato ai suoi anni come responsabile del Dipartimento di Stato (l’equivalente USA del nostro Ministero degli Esteri), e in particolare i capitoli dedicati alla Libia.
E’ la stessa Clinton ad ammettere che si lasciò convincere da Mahmud Jibril, uno studioso di libico scienze politiche che aveva conseguito il dottorato negli Stati Uniti, circa la presenza in Libia di consistenti forze liberaldemocratiche desiderose di avviare il Paese sulla strada della democrazia occidentale. Ma è pure curioso apprendere che l’organizzatore dell’incontro fu per l’appunto il filosofo di cui parlava all’inizio, e cioè Bernard-Henri Lévy, il più noto esponente della “Nuova filosofia” francese che, negli anni ’70 del secolo scorso, condusse una critica radicale del marxismo proponendo al contempo il superamento del capitalismo.
Una corrente di pensiero a dir poco confusa, il cui momento di celebrità si esaurì ben presto. Tant’è vero che lo stesso Lévy abbandonò in seguito l’attività filosofica per dedicarsi al giornalismo e, soprattutto alla frequentazione del jet set internazionale. Senza tuttavia rinunciare all’esaltazione pubblica delle “guerre democratiche” (o “giuste”) che tanti sconquassi hanno causato da alcuni decenni a questa parte.
Comunque la coppia Jibril-Lévy riuscì a persuadere Hillary Clinton che l’ora della democrazia liberale era giunta anche per l’ex colonia italiana. E le conseguenze si sono in seguito viste. Anche in quella circostanza – come nel caso siriano – la signora era (ed è tuttora) convinta che i cosiddetti “moderati” riuscissero a prevalere militarmente sulle milizie jihadiste. Il problema è che i francesi smaniavano dalla voglia di attaccare subito la Libia, e Hillary Clinton si fece dunque sorprendere da Sarkozy, il quale informò lei e David Cameron che gli aerei da guerra francesi erano già in volo verso la Libia senza attendere alcun semaforo verde dall’ONU.
Il lupo, si sa, perde il pelo ma non il vizio. Ecco quindi il buon Bernard-Henri Lévy di nuovo all’opera, questa volta in Ucraina. In una’intervista al “Corriere della sera” afferma di aver parlato pubblicamente a Kiev durante i moti di piazza Maidan, e di essere in seguito diventato amico intimo di Petro Poroshenko, l’oligarca che ora è il Presidente ucraino.
Il filosofo si sta adoperando affinché “la guerra imposta dai mercenari separatisti al soldo del Cremlino” termini presto lasciando il nuovo Ucraina libero di prosperare in pace. Promette inoltre di convincere Hollande ad annullare la vendita delle ormai celebri fregate francesi Mistral alla Federazione Russa, mettendole invece a disposizione della UE che dovrebbe poi girarle agli ucraini.
Quando parla di Poroshenko, Lévy assume addirittura toni lirici. Afferma infatti che “Petro Poroshenko non ha più nulla in comune con il re del cioccolato che ho conosciuto solo sei mesi orsono. Le spalle massicce, i lineamenti gotici e quella sua aria di predatore in agguato, assomiglia a un giovane Tito nella rare foto del suo soggiorno parigino, quando reclutava combattenti per le Brigate internazionali in Spagna. Seguiamolo sulla strada da lui scelta e appoggiamolo nel suo rifiuto dell’imperialismo che viene da Est”.
Il defunto leader jugoslavo si starà certo rivoltando nella tomba. C’è da sperare che ora Lévy non decida di volare pure in Irak, dove il caos è già abbastanza grande senza bisogno del suo intervento. I filosofi a volte possono essere utili, ma a patto che non aumentino la confusione. E nel caso specifico ci si può ovviamente chiedere se il termine “filosofo” non sia un po’ sprecato.