Sono passati due anni e mezzo dall’ultima volta che ho messo piede a Ihaleni, dove la comunità locale, supportata da Cast e dall’ONG Kenyota Kwetu, è riuscita a realizzare un sito di acquacoltura per la produzione di gamberi, granchi e milkfish totalmente sostenibile; l’allevamento è infatti associato a attività di riforestazione di mangrovie, e il flusso naturale delle maree contribuisce ad alimentare le vasche d’allevamento con periodicità bi-settimanale.
La macchina passa a prendermi sotto casa; la direzione è quella giusta e ad aspettarmi nell’abitacolo trovo Janet e Luizer, accompagnate da Abraham e l’autista Kadenge.
Le due donne di Uwezo Women Group non hanno idea di dove le stiamo portando; a dire la verità neanche Abraham. Per loro tutti è una novità assoluta, e per una volta gioco la parte di chi la sa un po’ più degli altri.
Qualche giorno prima avevo avuto l’occasione di incontrare il presidente di Ihaleni (Nicholas) e parte della comunità presso il Farmers Market, e Nicholas mi aveva raccontato dei progressi in corso presso il sito di acquacoltura, grazie a un finanziamento della FAO.
Non ci ho messo molto a fare l’associazione gamberi + negozio, ed eccoci quindi per strada. Obiettivo della missione sul campo: constatare i cambiamenti avvenuti nel sito di produzione e allacciare rapporti commerciali tra Uwezo Women Group e la comunità di Ihaleni.
Una ripida e scivolosa scarpata ci porta alla passerella in legno che conduce alle vasche di produzione di gamberi e pesci. Già dall’alto è possibile ammirare il sito e mi rendo immediatamente conto dei cambiamenti in corso. La passerella è stata allungata ed è ora possibile raggiungere il creek (l’insenatura) attraversando la foresta di mangrovie; anzi, è meglio dire che è ora possibile raggiungere il sito di produzione di Ihaleni in barca, e che un facile accesso via mare è stato aperto per i turisti. Una nuova vasca, grande più del doppio delle altre, è in fase di ultimazione, e la comunità prevede di scavarne una seconda delle stesse dimensioni al fine di aumentare la produzione. Le donne sono meravigliate da tanto pesce tutto insieme; gli si illuminano gli occhi a vederli muovere nella vasca, e improvvisano calcoli su quanto valgono e quanto potrebbero guadagnare nel vendere tutto questo pesce in un periodo di magra come quello attuale, caratterizzato dalla bassa stagione della pesca.
Proseguiamo scalzi lungo la passerella, cercando di fare attenzione a dove mettiamo i piedi per evitare le fessure tra un’asse e l’altra; il legno scotta e piuttosto viene voglia di correre a cercare sollievo nelle ombre degli alberi riflesse sulla passerella! Le due donne, nonostante i loro profumati abiti da festa, appaiono totalmente a loro agio. Si osserva immediatamente chi tra noi 6 è un “topo” d’ufficio e chi invece è abituato a camminare e a girare scalzo. Comunque, la pace del sito è talmente invitante che ci immergiamo con piacere nel tunnel di mangrovie attraverso cui si snoda la passerella. Nicholas ci mostra il vivaio e il lavoro di piantumazione svolto dalla comunità al fine di ripristinare la foresta di mangrovie e sensibilizzare l’intera comunità sulla loro importanza per l’intero ecosistema. Le foreste di mangrovie si sviluppano lungo la costa, nell’area compresa tra la terra e il mare.
Nella Contea di Kilifi è presente il 10% delle foreste di mangrovie di tutto il Kenya (tra 53.000 e 61.000 ha totali), ma si stima che oltre 10.000 acri di copertura forestale siano stati persi causa eccessiva pressione antropica, sovra-sfruttamento e inquinamento. Considerate aree protette, una legislazione keniota vieta il taglio incontrollato degli alberi di mangrovia, tradizionalmente apprezzato per il legno duro e utilizzato come palo da opera. Le foreste di mangrovie sono ambienti naturali estremamente ricchi di nutrienti che supportano una varietà di catene alimentari e funzionano come siti di riproduzione e riserve alimentari per pesci e invertebrati. Gli alberi di mangrovie sono altrettanto importanti per l’azione di stabilizzazione della zona di costa, proteggendole da eventi straordinari quali tsunami e tifoni. Forniscono altresì numerose risorse per le comunità costiere sia nelle aree rurali, che urbane.
Adagiate sul fondale fangoso che caratterizza queste foreste, individuiamo le gabbie per l’allevamento di granchi, costruite in bambù dalla comunità di Ihaleni. La sosta è imperativa; Nicholas apre una gabbia e, mentre afferra con attenzione uno di questi granchi enormi, ci spiega come funziona l’allevamento e quanto pericoloso sia prendere in mano un granchio nel modo sbagliato. Janet e Luizer chiedono di essere fotografate con in mano lo stesso granchio; io mi limito a scattare foto e cerco di mantenere una distanza di sicurezza. Raggiunta l’acqua del creek, ci rilassiamo sotto l’ombra di una tettoia in makuti, che a breve ospiterà un piccolo punto di ristoro per i turisti! Mi sembra già di leggere il menù: samose ripiene di polpa di granchio, gamberi in salsa swahili, pesce alla griglia.
Sara Crippa
Capoprogetto del Mama Karanga – Kenya
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