L’espressione “morire di crepacuore” indica, per consuetudine, un forte trauma emozionale subito dal nostro cuore a seguito di uno dolore insopportabile: la perdita di qualcosa o qualcuno a cui teniamo particolarmente, ad esempio, è un grado di scatenare uno schock tale da compromettere le funzioni vitali del nostro sistema cardiovascolare e di indurre un infarto o un attacco cardiaco.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica European Heart Journal, però, non è solo un dolore straziante a poter mettere a rischio la nostra salute, ma anche uno stato inatteso di immensa gioia. In realtà una prima ipotesi scientifica della “sindrome del cuore felice” era già stata individuata per la prima volta in Giappone nel 1990 identificando una possibilità di “morte per gioia” con il termine Takotsubo o anche cardiomiopatia da stress.
La ricerca ha analizzato 1750 casi per i quali buoni parte di essi l’attacco cardiaco era risultato susseguente ad una forte emozione subita dalla persona. Per alcuni, il 4% del campione, lo stimolo ricevuto era dovuto ad una gioia improvvisa (la vittoria della squadra del cuore piuttosto che il matrimonio di un figlio), per il restante, invece, era l’evento triste ad aver condizionato un infarto. Secondo lo studio, inoltre, le donne in età di 65 anni rappresentavano il target maggiore per un attacco da dolore, dai 71 anni in su, invece, risultavano molto più sensibili ad uno shock da gioia inattesa.
Secondo i ricercatori, quindi, i medici dovrebbero valutare, in caso di segnali predittivi d’infarto come affanno o dolore al petto, la tipologia di emozione ricevuta dal soggetto per poter fornire la migliore diagnosi possibile.