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Atteone e la conoscenza

Creato il 26 ottobre 2011 da Cultura Salentina

Dino Licci: Atteone (acrilico su tela 110X180)

Sto leggendo l’ultimo saggio di Stephen HawkingIl grande disegno” e la sua lettura, benché non si tratti di una passeggiata, mi appassiona oltre ogni dire. Ho deciso di farne dei riassunti mano a mano che procedo nella lettura per due motivi:
-il primo è egoistico perché riassumere ciò che si è letto, ricontrollando l’esattezza dell’argomento trattato, aiuta a fermare nella mente i concetti;
-il secondo è altruistico perché mi piace condividere con gli amici la gioia di una nuova scoperta scientifica o la discussione costruttiva che può seguire ad una pubblicazione di tal genere.

Leggere attentamente Hawking, immaginarlo paralizzato e immobile nella sua poltrona mentre la sua mente spazia oltre i confini dell’Universo, stigmatizza oltre ogni dire la natura dell’Uomo, la sua capacità di astrazione, la sua sete di conoscenza, che lo eleva ben al di sopra delle altre forme di vita che popolano il nostro pianeta. Il pensiero corre più veloce della luce, prima al di fuori dal sistema solare e poi ancora più lontano, abbandonando la nostra galassia, per incontrarne altre dalle forme più strane ed imprevedibili e nebule, buchi neri, stelle giganti e stelle nane mentre spazio e tempo si fondono insieme, minando profondamente i concetti cardini su cui basavamo le nostre conoscenze. E quando stiamo imparando a viaggiare in un universo infinito, visionando tunnel spazio temporali e quindi ipotetici viaggi nel tempo, siamo costretti ad un viaggio a ritroso, nell’infinitamente piccolo, laddove persino i quark perdono la loro qualifica di particelle più piccole dell’Universo, per cedere il posto alle “stringhe” vibranti come submicroscopiche corde di violino. Immersi nel concerto divino che vibra nell’aria, nel suolo, nel mare, nella profondità delle più lontane galassie o nella nostra più intima essenza, non possiamo dar torto a Brian Greene se ha chiamato tutto ciò “L’Universo elegante” in un saggio che ci turba e scuote dall’interno, ma aumenta enormemente le nostre conoscenze.

Tutto ciò non sarebbe stato possibile se alcuni personaggi del passato, che io non esito a definire “eroi del sapere”, non avessero sfidato l’oscurantismo medievale illuminando coi loro corpi dati fiamme dall’intransigenza clericale del tempo, le nostre menti e le nostre capacità interpretative. Mi riferisco in particolare a due domenicani: Il primo, noto a tutti, è Giordano Bruno, il secondo, meno conosciuto, è un nostro conterraneo, quel Giulio Cesare Vanini che, nato a Taurisano nel 1585, morì di morte atroce, arso vivo come Bruno dopo che gli fu tagliata la lingua perché riconosciuto ateo e bestemmiatore, dal parlamento di Tolosa nel 1619. Colpa dei due religiosi fu l’aver dubitato della SS Trinità ed aver asserito l’esistenza di altri mondi, quelli della cui esistenza, come abbiamo visto, oggi nessuno può più dubitare.

Ma come potevano menti aperte e libere come quella del Vanini o di Giordano Bruno, che precorreva i tempi nella visione della pluralità dei mondi, accettare decisioni dogmatiche prese sulla scia del fanatismo, trascurando del tutto la ragione e la conoscenza? Per capirlo appieno ho voluto dipingere una grande tela che illustra il mito di Atteone e il diverso significato assiologico che Bruno attribuì, negli “Eroici furori” alle azioni del cacciatore. Mi piacciono molto i miti perché nascondono sempre una verità di fondo anche se diversamente interpretabile come in questo caso. Dunque Atteone si inoltra per una selva fitta e impervia fino a raggiungere un laghetto dove si bea della visione di Diana che fa il bagno nuda e, per tale motivo, altri dicono perché si riteneva più bravo nella caccia della stessa dea, viene trasformato in cervo e sbranato dai suoi stessi cani, che non lo riconoscono.

La caccia cui fa riferimento Bruno è identificabile con la conoscenza e, prima di lui, il significato del mito era interpretato in senso fortemente negativo perché metteva in risalto la giusta punizione per l’uomo che, colpevole di tracotanza (Ubris), era restio ad accettare la sua condizione di sottomissione e cieca ignoranza. Vi ricordate del mito di Prometeo che rubò il fuoco (la conoscenza) agli dei? Atteone, a mio avviso, ne ricalca le orme e, nell’interpretazione di Bruno, questa sua sete di conoscenza è un evento molto positivo in accordo, oserei dire, con l’evoluzionismo biologico, che vede l’autodeterminazione dell’uomo come fine ultimo della sua avventura terrena. Bruno vede nell’incauto cacciatore, l’uomo o meglio ancora il filosofo, che spazia con l’ausilio delle sue facoltà primigenie (la volontà e l’intelletto simbolizzate dai suoi cani), in tutti i campi dello scibile, per carpire alla natura (Diana) i suoi segreti. Diana riflette la sua immagine nel laghetto e Bruno attinge ad un’espressione che fu già di San Paolo cioè riesce a conoscere la divinità per speculum ma c’è di più: questa sua primitiva conoscenza seguita nella sua trasformazione in cervo, per Bruno significa che l’uomo, la divinità, la natura, sono una sola cosa precorrendo, a mio avviso, i temi della filosofia di Spinoza. In Bruno inoltre c’è lo spirito aristocratico di Averroè e oserei dire di un Nietzsche ante litteram perché la foresta in cui s’inoltra (la conoscenza) è talmente impervia, che solo pochi eletti possono riuscire ad attraversarla e solo con l’ausilio della filosofia. Ora io mi permetto di aggiungere che le moderne acquisizioni sulla meccanica quantistica, la bilocazione delle particelle elementari di cui, ripeto, tutti siamo costituiti, l’entanglement quantistico, preludono forse a studi atti ad avallare la tesi secondo cui noi, la natura, la divinità, siamo fusi insieme da una misteriosa rete energetica, ancora inesplorata ma seducente ed elegante che Gregg Braden definisce pomposamente col nome di “Matrix divina”. E torno a gustarmi un’altra pagina di Hawking e la sua “Storia del tempo”.


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