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La trama (con parole mie): Douglas Quaid, felicemente sposato, con un buon lavoro ed una vita assolutamente ordinaria e tranquilla, è perseguitato da sogni che lo portano su Marte, accanto ad una donna che non ha mai visto prima, in lotta per la causa dei ribelli che vorrebbero la caduta di Cohaagen, l'uomo al potere sul Pianeta Rosso.Nonostante la moglie non approvi, Quaid si rivolge alla Rekall, un'azienda che permette di impiantarsi ricordi di vite mai vissute come fossero propri, in modo da poter pensare di essere stato almeno una volta fuori dalla Terra: l'operazione risulterà più complicata del previsto, e rivelerà ai tecnici che non soltanto Douglas è già stato nei luoghi che sogna ogni notte, ma che la sua mente è stata manipolata.Il suo vero nome è infatti Hauser, ed è un agente segreto divenuto il fulcro della lotta della Resistenza marziana.
Doveva essere ancora il pieno degli anni novanta, quando vidi per l'ultima volta Atto di forza, uno dei cult assoluti della mia pre-adolescenza: ricordo quando mio padre mi portò in sala, la prima visione in tv, la videocassetta, le decine di volte in cui, con mio fratello, la inserimmo nel videoregistratore portandolo allo sfinimento.Gli effetti speciali, l'idea di un futuro lontano ma non troppo e dei viaggi spaziali, lo stile sporco da fumetto di serie b ed una storia coinvolgente rendevano la pellicola firmata Verhoeven assolutamente unica nel suo genere, ed una garanzia dell'allora casa Ford - in fondo, lo stesso regista aveva firmato uno dei cult totali dei miei anni ottanta, Robocop -: in realtà ai tempi ignoravo che la sceneggiatura fosse tratta da un racconto di Philip Dick, praticamente lo Shakespeare della fantascienza cinematografica, l'autore in grado di garantire un successo anche a cineasti non particolarmente clamorosi come, di fatto, Verhoeven. Rivedere Atto di forza ora, nel pieno del nuovo millennio che si prepara a sfornarne il remake - previsto per fine anno, con Colin Farrell come protagonista - è stato come visitare una sorta di capsula del tempo, riuscendo comunque ad assaporare il gusto vintage di una pellicola volutamente tamarra e sopra le righe - la dice lunga la scelta di Schwarzenegger come protagonista, espressivo come un paracarro - incentrata solo a livello di ossatura sulle riflessioni indotte dal lavoro di Dick, e concentrata in primo luogo sugli effetti - prodigiosi, per i tempi - e l'atmosfera pienamente debitrice di tutta la fantascienza degli anni settanta.Il risultato è stato un gradevolissimo ritorno al passato per una pellicola decisamente sottovalutata dalla critica illustre eppure ancora oggi funzionale, divertente ed ottimamente realizzata, che fu un vero e proprio successo al botteghino e segnò ben più di una generazione di spettatori, non necessariamente legati ad un genere fisiologicamente nerd come la sci-fi: azione e adrenalina a partire, dunque, da un punto di vista quasi filosofico - come per ogni lavoro di Dick - e lo stesso reso base per quello che, senza un punto di partenza valido, sarebbe stato l'ennesimo Demolition Man portato sugli schermi da uno dei protagonisti del decennio appena lasciato alle spalle in modo da convincere il pubblico - e se stesso - di non stare per nulla invecchiando.Il tutto senza dimenticare una buona dose di ironia - il beffardo finale, le deformazioni legate sempre agli effetti e al trucco - che conferma uno spirito decisamente leggero sfruttato per muovere l'intera opera, coinvolgente quanto un action "duro e puro" ed interessante come ogni buona pellicola di fantascienza dovrebbe essere, spinta da pensieri legati a confini varcati e nuovi mondi: in questo senso torna di nuovo utile Dick - e ci mancherebbe altro -, con le sue trame di ribellione rispetto ad un sistema solo apparentemente funzionale e pacifico nonchè intrecciate all'uso e al controllo della mente, come si era già visto nell'immortale Blade Runner e si vedrà nell'altrettanto interessante A scanner darkly.I mutanti marziani, inoltre, omaggio al gusto freak che ha un sapore quasi vittoriano, rendono la trasferta del risvegliato Hauser sul Pianeta Rosso ancora più interessante, fornendo una base non indifferente per quella che sarà una delle pellicole meno incensate - erroneamente - di John Carpenter, Fantasmi da Marte.Si aggiungano al cocktail scene cult a profusione - lo scheletro sullo schermo del metal detector, la lotta tra la una giovanissima Sharon Stone e la compagna di Hauser interpretata da Rachel Ticotin, la sequenza conclusiva -, un cast di caratteristi noti a tutti gli appassionati del Cinema trash - ma non solo - del periodo - Michael Ironside, Ronny Cox, Marshall Bell - ed una sorta di insicurezza di fondo che lo script ed il regista paiono voler istillare nello spettatore ed avrete un prodotto perfetto per una serata amarcord, una a neuroni spenti ed una, al contrario, che rispolveri la voglia di confrontarsi con i massimi sistemi.In fondo, cosa credete possa significare, questo viaggio all'ultimo sangue, oltre che all'ultima frontiera?Quaid è davvero Hauser, e viceversa? Marte è un sogno avventuroso o una violenta realtà?Dove finiscono i nostri desideri, ed inizia una vita che spesso e volentieri chiede un tributo pesante per essere vissuta?Domande inaspettate e decisamente profonde per un film senza alcuna pretesa, eccetto lo stupore.Miracoli di Verhoeven? Difficile, ma non impossibile.Di Philip Dick? Molto più probabile, anche quando, come in questo caso, non sono richiesti a gran voce dagli autori.Di Schwarzy? Questa sì, che è fantascienza.Eppure siamo qui, a più di vent'anni di distanza, a meravigliarci ancora.
MrFord
"I'm gonna send him to outa space, to find another race
I'm gonna send him to outa space, to find another race
I'm gonna send him to outa space, to find another race
I’ll take your brain to another dimension
I’ll take your brain to another dimension
I’ll take your brain to another dimension
pay close attention."The Prodigy - "Out of space" -
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