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Atto IV - La libra

Creato il 11 dicembre 2011 da Mikdarko
Libro I "Genesi" - Capitolo 1 "Preludio" 1 giugno 1994
I giorni passano e ogni dì trascorso è segnato dalla tachicardia che diventa sempre più frequente.  A volte il mio cuore inizia a innervosirsi proprio nei momenti in cui sono alle prese con situazioni poco rilassanti, come ad esempio in classe. In questi casi chiudo gli occhi, espiro ed inspiro liberando la mente fino a che, pian piano, il cuore rallenta… tornando alla normalità. 
Atto IV - La libra
Ma io so che c’è qualcos’altro che non va.  Casualmente, in palestra, alcuni miei compagni di scuola provano per gioco una bilancia e fin qui nulla di strano, se non che, mosso dalla curiosità, aspetto che tutti si allontanino e salgo su.  Sconcertante!  Il display indica 50 chili, mentre circa una settimana fa ne pesavo 60. La reazione è spontanea: salgo e scendo nervosamente per escludere eventuali errori di misura, ma il risultato è sempre uguale. Non credo ai miei occhi… guardo il mio riflesso nello specchio della palestra e vedo un ragazzo magro, esile, ossuto e più alto dei suoi coetanei. Viso sottile ma armonioso, di un lunare pallore che nasconde in sé una melanconica tristezza. Capelli biondo cenere di quel colore che si può ammirare d’estate, quando la terra colma di grano sembra un mare dorato, mentre, i miei occhi di un marrone scuro, sono più simili al calare della notte in quelle zone del globo nel quale non è mai completamente buio: ambra perenne in un corpo così scarno. Mi avvicino a lui come per toccarmi, ma sono freddo! No, è solo un duplicato di ciò che sono in quell'oggetto; a volte non mi riconosco. I due visi si sfiorano tanto che il respiro crea un lieve condensa sul vetro e guardo dentro gli occhi dell’altro così cerco di scrutare nel profondo della “sua” pupilla, alla ricerca di risposte: chi sei? Chi sono?!! Ecco. Eccola. Vedo. 
Un ombra celata dall’oscurità dei miei occhi e ha delle ali! Che sia l’Angelo Nero dei miei incubi? 
Improvvisamente la figura scompare ed ho come l’impressione che la pupilla cominci a pulsare sempre più forte fino a divenire piccolissima, un minuscolo puntino impercettibile che lentamente si allunga in verticale fino a attraversare tutto l’iride. 
Sembro essere intento nell’osservare l’occhio di un'altra persona senza preoccupazione, né stupore, ma solo curiosità. È strano non ho paura, ancora una volta, mi sembra tutto totalmente naturale e invece non lo è, infatti, all’improvviso la pupilla si dilata di scatto e la strana linea diventa un cerchio tanto grande da annullare il mio occhio. 
Sono completamente impietrito… All’interno della pupilla ora vedo un teschio. 
Adesso si che ho paura. Mi sento mancare. 
Mi allontano dallo specchio e da quel funesto sogno fatto ad occhi aperti, sorrido in modo isterico. Forse, sto impazzendo? 
Poi dirigo il mio sguardo sull’ago della bilancia, anzi, no, non voglio guardare… e così esco dalla palestra di nascosto, senza destare sospetti e in pantaloncini e maglietta da ginnastica fuggo verso casa. Nella mia mente un unico pensiero: c’è sempre la possibilità che la bilancia, anche se nuova, sia guasta. Sicuramente sto facendo dei viaggi mentali assurdi, la fantasia e la soggezione mi stanno tirando davvero un brutto scherzo, ma il presentimento non è un concetto astratto, ed io so che qualcosa non va in me. 
Tornato a casa non vedo nessuno; meglio! Almeno evito le paranoie dei miei per essere fuggito da scuola. 
Entro in bagno ed eccola lì al solito posto: la mia bilancia 
Nella mente la associo alla bilancia a bracci, uno dei più tradizionali simboli di giustizia, sorretta spesso da una donna, personificazione della dea Giustizia, metafora dell’ "uguali pesi e uguali misure", che strano: un equilibrio che nella mia breve vita non ho mai veduto. 
Con passo incerto mi avvicino e vi salgo su, fermo su di essa, chino il capo sperando di essermi sbagliato in precedenza ma, ahimè, anche qui lo stesso risultato. Realizzo che in pochissimi giorni, senza accorgermene, avevo perso 10 chili della mia carne. Ma com’è possibile? 
Mi guardo attorno posizionato come sono sulla maledetta bilancia al centro della stanza. Un piccolissimo bagno con appena lo spazio per il lavabo, la doccia ed il water, in cui l’arredamento si ispira alla praticità del posto; una finestra di lato ben illumina le piastrelle di ceramica color avorio e il mio sguardo segue la greca fino al tipico difetto in cui per errore, due mattonelle non sono mal allineate. Sto fissando quel punto, e ad un tratto ho la chiara certezza che le altre pareti si allontanino da me e che quella linea si stia allungando; la stanza diventa enorme e percepisco la pressione del vuoto, ma nonostante lo spazio attorno a me si faccia immenso, ho la sensazione che “qualcuno” mi sia vicino, troppo vicino, mi opprime. 
Alzo lo sguardo e trovo dinanzi a me lo specchio posto sopra il lavabo, ed al suo interno il nefasto riflesso della mia immagine che mi osserva impietosita, ma quel volto, il mio volto, diventa sempre più scarno e scheletrico: la pelle ed i muscoli evaporano lasciando solo lo spettro di un teschio, come quello visto nel riflesso dei miei occhi, memoria di una vita passata, prescienza di un futuro tragico, sinonimo di una vita dimenticata dalla famigerata dea Giustizia. 
Cosa sto dicendo? 
Nuovamente la corsa in ospedale. I miei genitori discutono animatamente tra loro supponendo l’assurda ipotesi che tutto quello che mi sta accadendo altro non è che semplici conseguenze del periodo di pubertà che sto attraversando; che stupida ipotesi, speriamo che almeno il dottore di turno non se ne esca con argomenti del tipo “stress ed ansia”. 
Invece, per mia magra consolazione, stavolta posso gustare sul volto del primario un’espressione mista a stupore e sbigottimento e dopo alcuni controlli, sia sul mio corpo che sulla bilancia, il dottore si pronuncia confermando che fisicamente non sembro aver perso tutti quei chili, ma avendomi pesato lui stesso al momento del mio precedente ricovero, pochi giorni prima, azzarda l’unica ipotesi plausibile: “diminuzione della densità ossea”. 
Ho già sentito parlare di questa malattia, conosciuta col nome di osteoporosi, che rende le ossa poco dense e quindi fragili, ma per confermare mi prelevano un campione del mio sangue per effettuare tutti gli accertamenti dovuti. 
Con mio sommo dispiacere dovrò rimanere qui, affinché i medici possano monitorare e tener sotto controllo le mie condizioni fisiche. 
Dove sei dea Giustizia? Perché la mia vita non è al pari di quelle dei ragazzi della mia età? 
Pensieri rabbiosi mentre uno dei due piatti della bilancia con lentezza scende in basso a causa del carico di un teschio che si contrappone alla chiara forma del muscolo cardiaco ancora palpitante, posto sull’altro piano della stadera. È tutto talmente iniquo su questa terra.
Copyright 2011 "Angelo, tra Cielo e Terra" scritto da Michelangelo De Bonis - Tutti i diritti riservati.

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