- Tutte frottole mi hanno raccontato quelli di Fontainbleu. L’esilio non è bello. Io mi annoiavo, ho preso due o tre pastori e gli ho messo in mano una cazzuola. E il pagamento? A tempo debito, gli ho fatto. Abbiamo ristrutturato qualche edificio, tirato su quattro nuovi muri e i relativi tetti. Ai manovali ho fatto afferrare due o tre capre per la barba e rasare l’erba circostante alle nuove edificazioni. Per l’arredamento ho razziato le case dei caprai, ovviamente. L’arte povera adesso va per la maggiore.
Non appena abbiamo chiuso il primo cantiere sono accorsi dei tizi che passavano per strada a sentire a quanto avrei venduto. Ho fatto un prezzo modico e chiesto in cambio di farmi pubblicità. Di forestiero ci sono solo io, mi è stato facile convincere ogni abitante a farsi per seconda casa una mansardina vista isolotto, tutta arredata, servita e collegata per mezzo di strade nuovissime e ben spianate ai centri principali.
Il figlio di Maria Waleska crede che l’isola si chiami Elba, perché non pronuncia la erre. “Si chiama Elba pelché c’è tanta elba”. Caple, elba e e male, non c’è nient’altro da guardare qua, figuratevi da fare. Due palle così, che se non avessi messo su il business immobiliare, avrei iniziato a brucare anche io.
Il ragazzino, oggi a pranzo, dopo una solenne mangiata ha detto che le cozze “emettono sete”. Sua madre gli ha tirato il ceffone di prammatica. Io però l’ho guardato con le stelle negli occhi, nella sua infinita incoscienza ha detto una cosa niente male. Emittenze, le stelle e le loro luci inter-emittenti, il luccichio dell’oro… Non so come, devo ancora escogitarlo ma lo sento per istinto: quello sì che sarebbe un business!
Mi sono allontanato da tavola, e invece di prendere il rituale bagno caldo sono uscito e ho meditato camminando a lungo. L’illuminazione mi è arrivata quando mi sono fermato a sedere sotto un albero: serviranno kilometri e kilometri di, vediamo cosa… Sì, di cavi. Sento che funzionerebbe, ai dettagli penseremo poi. Ma ho capito che l’isola non è il posto più adatto, le capre li rosicchierebbero, bisognerà emigrare. E poi i manovali chiedono sempre più insistentemente che saldi i miei debiti. In più, Paolina rompe.
- Chi?
- Mia sorella. Morbosa. Scrive da Torino che avevo promesso di dare mie notizie, e mi accusa di averle mentito. Si lamenta peggio di un’amante trascurata. Volete leggere?
- Ma no, non credo sia il caso…
- Leggete, leggete: “Mio caro, sognato, anelato.” Vorrei sapere quale donna, sposata, per giunta, si rivolge al fratello con questi appellativi. “Allora, come va? Ti piace il posto, sei in buona compagnia? Ti rilassi? Hai usato le cremine che ti eri procurato per scongiurare le scottature? Come mangi? Hai osato discendere dal gommone in mare aperto? Hai fatto nuove conoscenze? Non mi hai spedito che una sola cartolina, così così per giunta. Mi dicono che riesci a leggere qualcosa di noi rimasti quaggiù sul Continente. Buon per te, io dalla tua partenza sono caduta in una malinconia che passa soltanto se mi abboffo di gelati. Ho messo già su due kili. Quando pensi di tornare insomma? Oh, se mi manchi. Continua così e verrò a trovarti io. Non ti ho dimenticato, né mai, mi devi credere, lo farò”. Non oserei sperare tanto… “Ti bacio tutto, ma tutto tutto. Sempre tua, Paolina.” Una bella palla al piede, cosa ne dite?
- Beh, mah… Sorelle. E ora, come pensate di uscirne?
- Con le prime luci del mattino farò fagotto, destinazione sconosciuta. Ho promesso ai caprari più fedeli qualche soldo in cambio di un passaggio su una chiatta verso la terraferma. E che Iddio ce la mandi buona. Ho il dubbio che la Waleska sia incinta. Vada come vada, faccio ora un voto: se avrà una femmina, e se passerò indenne il mare, voglio chiamarla Marina. Marina Bonaparte. Nel caso mi assomigliasse, la nominerò mia erede universale. Madame, perdonatemi ma si è fatto tardi, vogliate accettare la mia buonanotte.
- Beeeee.