Venerdì, 4 Settembre 2015, Puno.
E’ la prima volta, in Perù, che dormiamo a una certa altitudine e, per quel che mi riguarda, non è stata una gran bella notte: ho avuto difficoltà di respirazione e mi sono svegliato parecchie volte per andare in bagno. Così, alle 6.30 quando è suonata la sveglia, non mi sento granché in forma, ma, sollecitato dalla mia signora, faccio buon viso a cattiva sorte e mi preparo per scendere a fare colazione in albergo e lì, come prima cosa, mi bevo quell’infuso salvifico a base di acqua calda e foglie di coca che, a detta della guida, dovrebbe darmi nuova energia per affrontare la giornata. In realtà non provo nessuna scossa elettrica al fisico poiché la cosiddetta mate-coca che danno gratuitamente ai turisti nei bar degli alberghi altro non è che una tisana calda. Comunque sia, alla fine di un’abbondante colazione, ogni malessere è scomparso e mi sento pronto per partire. Alle 7.30 arriva la guida con il pulmino per portare l’intrepido gruppo a un imbarcadero sul lago Titicaca. Qui saliamo su un piccolo battello che ci condurrà alle islas flotantes, (isole galleggianti) abitate dagli Uros, una comunità che, secoli fa, per sfuggire alle aggressioni degli inca, le costruirono utilizzando canne galleggianti totora che si trovano in abbondanza nello stesso lago.
Le canne tendono a marcire nel tempo per cui gli Uros di tanto in tanto devono provvedere a tagliarne di nuove e a disporle sopra le vecchie. Quando sbarchiamo su una delle isole (fino a oggi se ne contano 87) sta piovendo ed è un pochino problematico camminarci su. Sembra di essere, se mi è permesso il paragone, su un materasso ad acqua, per cui occorre stare attenti a non cadere o a inciampare malamente. Veniamo accolti da un gruppo di simpatiche signore abbigliate nei loro costumi tradizionali molto colorati e condotti all’interno di una loro casa tipica (una capanna costruita con canne), dove ci viene spiegato in lingua aymara (con traduzione simultanea da parte della guida) come vivono e cosa mangiano gli appartenenti alla comunità.
Le due precedenti foto sono tratte da Internet in quanto la pioggia ci ha impedito di farne di nuove al nostro arrivo. Solo verso la fine della visita il tempo è cambiato e ci ha permesso di prendere qualche istantanea prima di ripartire con il battello:
Questo è il pavimento delle isole galleggianti: un tappeto di canne…
Questa bella e sorridente signora Uros ci sta spiegando il metodo usato per costruire l’sola e far sì che non affondi. In un’estesa riserva ecologica presente nel lago:
essi tagliano e raccolgono un certo numero di parallelepipedi galleggianti (altro non sono che le radici delle canne stesse):
Legando fra loro questi parallelepipedi, ottengono un insieme galleggiante piuttosto robusto:
Con le canne formano delle fascine e le sovrappongono ai parallelepipedi, alternandole come direzione in modo da non lasciare spazi vuoti, ottenendo così il pavimento su cui muoversi. Man mano che, a causa della pioggia, le canne del pavimento marciscono, aggiungono delle nuove fascine e la vita dell’isola può continuare. Queste piattaforme galleggianti vengono ancorate come una qualsiasi nave, altrimenti il vento e le correnti del lago le sposterebbero velocemente dalla loro posizione di partenza. Una torre di vedetta permette di controllare la situazione logistica della propria isola e delle isole vicine:
La barca che si vede nella foto (anch’essa fatta di canne e quindi soggetta a deperimento) viene usata per la pesca, attività che fornisce gran parte del cibo giornaliero di questa popolazione. Vicino alla radice le canne totora sono commestibili e la guida, per dimostrarlo, ne ha staccato un pezzetto e se l’è mangiato. Poi ne ha offerto un po’ anche a noi… ma tutti abbiamo cortesemente rifiutato.
Di barche ce ne sono di vario tipo e vengono adoperate per far fare ai turisti, a pagamento, dei giri sul lago:
Gli Uros per le attività giornaliere usano invece barche più moderne, spesso motorizzate e meno deperibili…
Ecco l’interno di una casa:
Un bar per turisti con un tetto più solido:
Terminata la visita alle isole galleggianti, risaliamo sul battello e facciamo rotta verso l’isola di Taquile, a una ventina di km. da qui. L’acqua del lago Titicaca al momento è quieta e così la moglie del guidatore del battello può dedicarsi in santa pace al suo lavoro di uncinetto:
Dopo circa due ore di navigazione arriviamo sull’isola:
Un cartello ci dà il benvenuto e ci avvisa di non regalare caramelle ai bambini e, se possibile, di evitare di fotografarli, a meno di non dare loro una piccola mancia…
Per arrivare nel centro del paese ci aspetta un panoramico sentiero lastricato con una pendenza terribile adatta a persone allenate alle passeggiate in montagna e finalmente capiamo perché la nostra guida porta in spalla una bomboletta di ossigeno! Vi ricordo che qui siamo quasi a 4000 metri sul livello del mare e non poche volte qualche turista ha avuto problemi di respirazione nell’affrontare questa salita:
Si capisce che la salita è dura?
Fortunatamente l’intrepido gruppo sopporta bene la fatica e, ancora vivo, arriva al traguardo dove ci aspetta una moltitudine di abitanti dell’isola del tutto indaffarata a lastricare la Plaza de armas. E’ un vero spettacolo vedere buona parte della comunità, uomini e donne, riunita per lavorare insieme a uno stesso progetto e, naturalmente, gratis. C’è chi scava, chi raccoglie in sacchi il sovrappiù di terra, chi taglia le pietre in misura e chi, infine, le posiziona:
Sull’isola vive una comunità di circa 2500 persone soggette a un sistema sociale che poggia su 25 autorità (rigorosamente solo uomini) che durano in carica un anno e vengono eletti in piazza per alzata di mano. Anche i turisti presenti sull’isola al momento delle elezioni possono dare il loro voto! Le autorità sono al servizio della comunità ogni giorno per almeno tre ore, mentre per il resto della giornata possono dedicarsi agli affari della propria famiglia. Costoro si riconoscono dal tipico abbigliamento: cappello sopra la cuffia di lana e una larga fascia colorata in vita a cui è legata una speciale borsa. Nella foto sotto se ne vedono tre che sorvegliano che il lastricato venga fatto ad opera d’arte.
Sull’abbigliamento dei taquilegni ci sarebbe da scrivere un trattato, ma, per evitare di dire inesattezze, mi limiterò a brevi accenni. Essendo persone generalmente taciturne essi lasciano che a parlare siano alcuni capi del loro vestiario. Per le donne parlano la mantella copricapo e la gonna: quelle sposate ce l’hanno entrambe nere. Guardate la foto sotto e facilmente scoprirete la donna non maritata:
Per gli uomini dice tutto la cuffia allungata con pon pon e paraorecchie che portano sempre in testa (il cosiddetto chullo). Salvo errore o confusione, se il pon pon pende a destra del viso l’uomo è fidanzato, se pende a sinistra significa che è sposato. Se il pon pon non pende nè a destra nè a sinistra immagino voglia dire che l’uomo è libero oppure che vuole essere lasciato in pace…
Un isolano felicemente scapolo.
Gli uomini, di norma, masticano foglie di coca e quando sono vecchi sulle loro guance si vede un caratteristico rigonfiamento:
Quasi tutti gli anziani, per sentirsi ancora utili, lavorano all’uncinetto:
Le donne, forse per proteggersi dal freddo, portano un certo numero di gonne e sottogonne che le fanno sembrare più grassottelle di quanto siano in realtà: che sia una malizia di queste parti per attrarre il maschio? I bambini vanno tutti a scuola e hanno la stessa divisa anche se qui non ci sono grandi differenze sociali. Sull’isola ci sono scuole fino alle classi superiori: chi vuole frequentare l’università deve andare a Puno.
Una volta alla settimana in piazza si celebra il baratto, cioè lo scambio di merce. La religione vigente è quella cattolica e il divorzio non è ammesso. Un uomo e una donna possono convivere e avere un figlio senza essere sposati. Il matrimonio è molto costoso in quanto si deve offrire da mangiare a tutta la comunità. Si parla di circa una quarantina di pecore da dare in pasto ai partecipanti alla grande festa di nozze e ogni pecora costa una cifra per loro enorme (circa quaranta dollari). Di solito le nozze delle coppie che convivono vengono organizzate dopo la nascita di un figlio. Da fidanzati o conviventi è possibile lasciarsi ma, una volta sposati non è più permesso. Il coniuge che desidera separarsi deve lasciare l’isola per sempre e andare a vivere altrove.
Pur avendo a disposizione un lago ricco di pesce, la popolazione di Taquile non ama la pesca, preferisce coltivare la terra (la presenza delle terrazze di origine pre-inca ne è il segno evidente) e allevare il bestiame. L’unico albero che attecchisce qui è l’eucalipto, il resto della vegetazione è composto da arbusti tipici di un territorio desertico.
Sull’isola non ci sono ristoranti ma le famiglie a turno ospitano gruppi di turisti dietro il pagamento di una somma piuttosto modesta.
A noi hanno offerto pesce non pescato da loro ma acquistato a Puno, riso in bianco e tre tipi di patate. Una con la buccia marroncina come le nostre, ma più piccola, una dalla buccia viola e un’altra a forma di carota, tutte cotte al vapore. Io le ho assaggiate ma non ce l’ho fatta a finirle: avevano un sapore indefinibile e non propriamente gradito al mio palato che rifiuta cibo sconosciuto. Ma, come ormai sapete, quanto a gusto io non faccio testo.
Terminata la visita a Taquile, non ci resta che riprendere il battello per tornare a Puno. Prima di raggiungere l’albergo, gironzoliamo un po’ nella via principale della città. La strada è piuttosto affollata e con grande sorpresa notiamo che diversi ristoranti sono gestiti da italiani o figli d’italiani, provenienti dal Veneto:
Siccome oggi mi sono dilungato troppo, chi vuole approfondire la conoscenza degli Uros e delle loro isole galleggianti, osservare dal vivo la comunità che vive sull’isola di Taquile e dare un’ulteriore occhiata a Puno, una città di circa 180.000 abitanti, può cliccare sull’immagine che segue e guardare il filmato relativo a questa nostra giornata in Perù:
Appuntamento alla prossima puntata!
Nicola
Crediti: le foto di questa puntata, a parte le prime due, sono tutte originali e scattate da Barbara e Sergio, Giorgio e Chicca. Il filmato, come sempre, è stato girato ed elaborato da me.