- Rabbit Hole – 2011 - ♥♥♥ -
di
John Cameron Mitchell
L’ elaborazione di un lutto può essere decisamente differente. Ce lo dimostra John Cameron Mitchell in Rabbit Hole mettendo a confrondo gli universi interiori di un uomo e una donna entrambi coinvolti nella prematura scomparsa del proprio figlio di quattro anni. I protagonisti sono Howie (Aaron Eckhart) e Becca (Nicole Kidman), il primo tenta di dimenticare il figlio cercando di chiuderlo dentro il guscio dei suoi ricordi e rievocandolo ogni sera attraverso i video nel suo cellulare o le impronte ancora nella sua stanza, mentre invece la seconda tenta la strada dell’ isolamento, l’ allontanamento anche dal suo partner e anche l’ eliminazione di ogni traccia che in qualche modo evochi il ricordo del figlio. Due dinamiche apparentemente in conflitto che porteranno inevitabilmente i due al contrasto. Durante i primi quaranta minuti del film vengono omesse le circostanze del loro agire e del loro dolore che viene mostrato allo spettatore come a voler far crescere l’ ansia nello spettatore di una qualche presenza tra loro due che silenziosamente si muove ancora. Lentamente si comprendono le dinamiche e la macchina da presa di Cameron Mitchell è abile nel cogliere ogni impercettibile espressione nei volti dei due protagonisti. Nicole Kidman (candidata all’ Oscar per questo ruolo) lascia trapelare da ogni microespressione il suo dolore mostrandosi ancora una volta una validissima attrice capace di esprimere l’ interiorità emotiva anche quando quest’ ultima non è assistita dalle battute di un copione. Risiede infatti nella straordinaria capacità recitativa dei due attori la maggiore forza di questo film che in ogni diverbio tra i due è in grado di comunicare le emozioni e il filo narrativo stesso della storia. Anche la figura di Jason (interpretata da Miles Teller) , che in qualche modo è il ragazzo che ha provocato la morte del piccolo, è molto utile per tirar fuori ai due personaggi ulteriori elementi di contrasto e sensi di colpa fino alla consegna del suo fumetto dal quale il film prende il titolo, metafora catartica della liberazione del loro dolore. Ed è proprio da questo fumetto che la riflessione insita all’ interno di questo film ha modo di mostrarsi ai suoi spettatori, rammentando anche l’ universo Carroliano del suo Paese delle Meraviglie. Si apre quindi la prospettiva che tutto ciò che ha originato il loro dolore, in realtà possa trovare una liberazione catartica all’ interno di un “buco del coniglio” parallelo, nel quale niente di tutto quello è accaduto. Semplice e moderato è l’ uso registico di Cameron Mitchell dei suoi campi e controcampi che gestisce dando spazio ad entrambi gli attori come fossero interpreti in un palcoscenico teatrale. L’ uso di tonalità fotografiche molto cupe all’ interno delle mura domestiche è azzeccato ai fini di comunicare ancora una maggiore presenza di un dolore interiore fantasmatico all’ interno dei protagonisti. Non sarà di certo un lavoro memorabile in quanto a originalità registica ma di certo è da apprezzare per la sua moderazione, ma soprattutto per la sua visione parallela e alternativa dell’ uscita dal dolore di un lutto attraverso l’ evocazione (forse anche illusoria) di una realtà parallela nella quale i nostri alter ego vivono senza quel dolore.
( Isolamento e emotivita espressa nella solitudine
di un' auto per Becca)
( Rievocazione del dolore attraverso il ricordo e i legami per Howie)