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corridóio (ant. corritóio, corritóre, ant. o region. corridóre) s. m. [der. dicorrere, propr. «luogo dove si corre»]. –Ambiente, generalmente stretto e lungo, che serve di passaggio, comunicazione o disimpegno nelle case d’abitazione, e assume particolare importanza e sviluppo nei fabbricati di abitazione collettiva (alberghi, scuole, uffici e sim.) dov’è necessario che i singoli locali risultino reciprocamente indipendenti: i c. della scuola, del tribunale, del teatro. sussurrare (letter. susurrare) v. intr. e tr. [dal lat. susurrare]. – 1. intr. (aus. avere) Mormorare, produrre un suono prolungato, leggero e non distinto, ma gradevole: le foglie, mosse dal vento, sussurravano; s’udiva s. il ruscello. Anche della voce umana: gli sussurrò all’orecchio; in fondo alla classe, qualcuno sussurrava; in partic. (analogam. a mormorare), parlare male, criticare segretamente, a bassa voce.
Il 30 maggio 1998 usciva nelle sale coreane un film che avrebbe cambiato per sempre gli equilibri dell'horror, spostando improvvisamente il suo baricentro verso l’estremo oriente. Era solo l'inizio di una tendenza che, seppure meno intensamente, esiste ancora oggi. Quel primo Whispering Corridors, purtroppo, ci avrebbe messo altri due anni per sbarcare in Europa (in Germania) e ben sette anni per arrivare, sotto forma di DVD, negli Stati Uniti. In Italia l'originale Whispering Corridors non è ovviamente mai arrivato così come, inutile sottolinearlo, non sono arrivati i quattro successivi capitoli di quella che oggi si può definire a tutti gli effetti una “saga” tra le più importanti del cinema asiatico.
Nonostante le indubbie qualità della pellicola, molto più profonde di quanto non possa sembrare ad una prima lettura, la concorrenza del cinema giapponese avrebbe costretto Whispering Corridors in un angolo, oscurandone di fatto per molto tempo la visibilità al di fuori della penisola. Registi navigati quali Hideo Nakata (Ringu) e Takashi Shimizu (Ju-On) furono molto più abili a realizzare dei prodotti in grado soddisfare maggiormente il palato del pubblico occidentale grazie all’oculato utilizzo di meccaniche horror classiche, studiate a tavolino per generare tensione e elargire attimi di puro terrore.
In Corea del Sud, al contrario, in un’industria dell’intrattenimento che solo fino a pochi anni prima era fortemente influenzata da fattori culturali, Whispering Corridors fu per tutti un gigantesco pugno nello stomaco. Il timore di corrompere la cultura locale attraverso le influenze provenienti dall’estero e le politiche protezionistiche applicate alle aziende locali nel campo dell’intrattenimento avevano per decenni favorito, attraverso imposizioni legali, il completo isolamento culturale della penisola coreana (basti pensare che, fino a solo vent’anni fa, in Corea era proibito trasmettere film giapponesi). Con Whispering Corridors, da un giorno all’altro, tutto improvvisamente cambiò.
Parlare di horror in questo contesto è sostanzialmente riduttivo se non del tutto errato. Whispering Corridors utilizza l’horror solo come pretesto per sviscerare concetti ben più importanti, andando ad affondare i propri colpi direttamente al cuore della società coreana e, più in generale, inviando forti segnali di dissenso alle follie della società moderna. Ogni sequenza è leggibile nell’ottica di una critica dirompente all’orrore che ci circonda, quello vero, quello a cui ormai non facciamo più caso. Gli stessi personaggi che incontriamo in Whispering Corridors e nei capitoli successivi, in parte derivativi, sono innanzitutto personaggi che, ad una prima occhiata, definiremmo problematici e complessi, personaggi calati in una realtà che non appartiene loro e con la quale si trovano a dover fare i conti quotidianamente. Tutt’attorno, l’utilizzo di elementi soprannaturali non fa altro che sottolineare questo tipo di disagio.
Ho detto “derivativi solo in parte” perché, a differenza delle grandi saghe del cinema mainstream americano, tendenti generalmente a ripetere all’infinito la stessa idea originale perdendo il proprio appeal strada facendo, la serie Whispering Corridors riesce a mantenere, nell’arco di cinque film e di undici anni, la stessa potenza narrativa, dosando e combinando in modo diverso le tematiche sociali, pur senza allontanarsi troppo dai solchi scavati nell’originale.
Non si scivola mai nel banale nelle cinque pellicole della serie, né tantomeno si scende mai a compromessi. Il fenomeno tipicamente giapponese di utilizzare le ragazzine in uniforme scolastica per esprimere concetti sessualmente espliciti, per esempio, qui manca del tutto. Così come manca del tutto la classica figura, tipica dell’horror orientale, dello spettro vendicativo, inarrestabile quasi più per principio che per altro. Fantasmi qui ce ne sono a bizzeffe, ma sono più che altro fantasmi romantici, nelle cui eteree figure ci si immerge piacevolmente, condividendo le loro sofferenze e i loro stati d’animo.
Avremo comunque modo di affrontare nei prossimi giorni, in maniera più approfondita, tutti gli elementi che ruotano attorno alla saga dei corridoi sussurranti. Abbiamo un mese davanti a noi e non è il caso di bruciare le tappe in questo primo appuntamento che, nel suo intento, avrebbe dovuto essere solo una breve introduzione. Ci si ritrova qui su Obsidian Mirror tra pochissimo con uno “speciale nello speciale” dedicato ai “corridoi della paura”.
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