Attraversando la Sicilia di notte, tra luci gialle di paesi e masse nere di rocce che scorrono a lato, i lampi rossi e rosa degli oleandri, illuminati dai fari, la compagnia di radio concitate, i profumi densi, inumiditi dal bujo.
La Sicilia di notte si apre senza fatica, i nomi dei paesi suonano dolci, si ripetono in un mantra che distende i pensieri. Grammichele, Lentini, Vizzini, Chiaramonte, luci ammassate in collina, scrigni di vite parallele, destini, speranze da spendere, passioni. I camion corrono a nord, e corrono davvero, curve, controcurve, salite, discese, prima erano Nebrodi, poi Erei, adesso Iblei e pensieri, molti pensieri che s’aggrovigliano e distendono
Energia nervosa, caffè nelle luci del distributore, pisciare in posti malpuliti, strada. Ancora strada. Quanti km? Non si legge la destinazione e si sente che questo mare di terra rossa, di odori, di camion incrociati, è un luogo senza meta, senza luogo. Solo terra, che adesso sa di notte, e luci, e odori di piante arroventate dal sole, e nomi che suonano bene, e canticchiare, e andare finché si può, prima di fermarsi, e approdare in reception, in stanze condizionate, e balconi aperti, e luce filtrata all’alba, dalle tende mai troppo spesse.
La notte di questa traversata, si scioglierà in qualche albergo mai frequentato, finché verrà il giorno, e sferragliando consapevolezza, prenderà alle spalle con il paesaggio svelato. Con i B&B dai nomi improbabili, il traffico immane, le strade interrotte, i ristoranti che erano trattorie, ed era meglio se non cambiavano, le fabbriche che funzionano e quelle che si disfano, i centri commerciali e la massa dei negozietti. La confusione di scritte, tabelle sovrapposte sui pali, sui cartelli turistici cancellati, sul benvenuto e il saluto di paesi che si scrosta nelle vernici a basso prezzo. I messaggi senza senso, rivolti allo straniero, il vuoto che si aggiunge, ed ingoia il pensiero d’essere in un posto che toglie l’urgenza di capire le persone ed i luoghi, e le trasforma in cose, in cibo, in souvenir.
Tutto annega nei cartelli mancanti delle città prossime, chi è il vicino, dove sarà? E così non sai più dove vai, dove sarai nel pomeriggio. E ti passa la voglia di andare e capire, non accendi il navigatore, pensi che non ti perderei mai davvero, che sarebbe bello che sparissero i cartelli e restassero le persone. E ti prende lo schifo per questo costruire violento che t’attornia, e pensi che ogni azienda, che ora cade a pezzi, è stata assistita, che anche quelle che funzionano, sono state assistite, ed era naturale allora, come adesso. Lo sai che da come verrai salutato, presentato, saprai quanto conti, che la gentilezza senza forma, invece, la troverai nel bar dove ti fermi, che è tutto lo sfacelo che annulla storia, gloria, identità che non sopporti più, che nulla più giustifica quell’enorme scempio che è stato fatto, che è tutto finto, che tutto imploderà, ma noi non lo vedremo e quindi non consola, ed intanto, resta quello che vedi, quello che non sopporti. E’ tutto finto, finti i soldi, il potere malato, le donne che ti danno la mano e non capiscono chi sei, le piscine e i gioielli ostentati, i saluti cerimoniosi, le marchette, gli articoli di giornale scritti prima dei convegni. Tutto finto, anche le luci di Modica, così belle questa notte adesso si perdono nel giorno che mostra la pietra violata. E’ tutto finto, tutto deviato, qui come altrove, non solo in Sicilia, ma in Lombardia, in Veneto, in Toscana, ovunque. E non c’è ragione del brutto, dell’inutile, del falso, della patacca. Né qui, né altrove. Per questo cerco di viaggiare di notte, e di giorno evito le autostrade e punto nella campagna già bruciata dal primo giorno d’estate, e mi piace il trattore che mi rallenta, la strada che ho sbagliato, la canzone che canto da ieri, la voce che ricordo bene e che veniva da Palermo, e poi se n’è andata.
Come me. Che mi difendo, ricordando il mare di stanotte, la luce violenta del distributore, la solitudine immensa del sole che illumina e non vede. Conservo l’ultima traccia d’un saluto sincero, e il pensiero più bello che ho avuto, e mi pare di aver tutto e niente in questo dividersi binario, che guida, separando e mescolando, giorno e notte, bianco e nero, lì sulla linea tra yang e ying tracciata nei bar nell’ l’accento musicale di chi mi parla, nello scrivere che incuriosisce, nell’ultimo mezzo sigaro fumato. Il vivere, è vivo, e non è rifiutato, come il motivo finalmente dolce, chiaro del perché preferisco attraversare di notte la Sicilia. Perché solo così posso ancora ancora amare questo posto, e non vederlo violentato e disgraziato di potere, miseria e denaro. Perché di notte sembra possibile che ci sia tempo per raddrizzare ciò che è deviato. Perché, semplicemente, di notte non si vede e non si ricorda, ma si sente cosa non è cambiato.