Un buon criterio per valutare l’importanza di un evento storico è il mito che si crea attorno ad esso, e nel caso delle conquiste mongole l’immaginario rimasto sembra essere davvero notevole. Le orde di nomadi che, partite dagli altipiani della Mongolia nel XIII sec., hanno conquistato gran parte del mondo allora conosciuto, sono infatti presenti in misura notevole nella storia sia culturale che politica dell’Europa di oggi, come ben dimostra I Mongoli. Espansione, imperi, eredità scritto da Michele Bernardini e Donatella Guida.
Per toccare con mano quanto perduri il mito di Gengis Khan, o meglio Chinggis Qa’an, basta recarsi oggi in Mongolia, dove il nome del condottiero è ancora ben presente: dalle sigarette all’aereoporto, dalla vodka ai agli hotel, il tutto contornato da una statua equestre di proporzioni enormi appena fuori la capitale. Inutile dire che presso i mongoli il ricordo delle antiche geste si accompagna ad un forte nazionalismo, quasi come i temibili arcieri siano solo scesi da cavallo per prendersi una pausa nelle loro scorrerie. Ma il mito dell’immeso impero continua a sussistere in tutto il mondo, dando alla Mongolia un fascino che sfocia quasi nella leggenda.
Tornando al libro di Bernardini e Guida possiamo vedere come l’impero mongolo sia stato per l’Europa un’importante momento di incontro, e scontro, con una civiltà altra. Attraverso i mongoli, e grazie alla pax mongolica, l’Asia entrò prepotentemente in Occidente, e se da un lato le cronache religiose (principali fonti del tempo) descrivono i conquistatori come diavoli a cavallo, dall’altro si tentò di approfondire le relazioni con questi demoni e tentare di trascinarli nella geopolitica europea del tempo. Come nel caso di Venezia che si alleò alle orde mongole per distruggere i porti che la rivale Genova aveva sulle coste del Mar Nero.
Lo stesso Papato inviò presso la corte dei sovrani mongoli diverse ambasciate, le più famose delle quali furono guidate dai francescani Guglielmo di Rubruck e Giovanni da Pian del Carpine. Protagonisti di vere e proprie spedizioni in terre lontane abitate da genti i cui costumi erano quasi del tutto sconosciuti, questi missionari ci hanno lasciato dei vividi diari degni di un antropologo moderno. Ma forse il viaggiatore più famoso resta Marco Polo, anche se qualche studioso, come Frances Wood, ha solllevato più di qualche dubbio sulla reale esistenza del mercante veneziano, o perlomeno sul fatto che si sia recato davvero nei luoghi descritti nel suo celebre libro.
I Mongoli ha inoltre il grande pregio di coprire non solo l’intero arco temporale dell’impero mongolo, ma anche la sua estensione geografica. Nella storiografia europea, infatti, si tende a considerare le conquiste dei successori di Gengis Khan con una prospettiva eurocentrica, dimenticando che le orde mongole si rivolsero a moltissime altre aree, e di certo non meno importanti. Da questo punto di vista l’opera si rivela assolutamente valida grazie alle competenze degli autori, docente di Storia dell’Iran (e non solo) lui e ricercatrice in Storia della Cina lei, con un piacevole equilibrio tra le vicende dell’area persiana e quelle della regione cinese.
Proprio il rapporto tra i mongoli e la Cina andrebbe approfondito, inserendolo nel dibattito sulla creazione della struttura statale cinese, che alcuni studiosi fanno risalire proprio alla dinastia mongola degli Yuan, soggetto di confine tra sinologi e mongolisti. Sarebbe proprio sotto questa dinastia che alcuni territori entrarono a far parte della Cina come la conosciamo oggi, uno su tutto lo Yunnan dove ancora oggi esiste una minoranza, i Khatso, che fanno risalire la loro origine direttamente alle truppe mongole conquistatrici. Sempre lungo i confini meridionali della Cina si sono consumate le vicende forse meno note dell’impero mongolo, dove la grande macchina da guerra creata da Gengis Khan venne bloccata, dal clima e da tattiche di guerriglia.
In una fitta rete di stati tributari e stati nemici, i mongoli arrivarono fino all’odierna Birmania, conquistando l’antica Pagan dopo svariate campagne, ma senza tuttavia riuscire ad imporre una dominazione stabile. Cocente sconfitta fu quella subita dai Khmer nella fitta giungla cambogiana, e le cose non andarono meglio in quello che oggi è il Vietnam, tra tradimenti e malaria. Peccato che queste vicende non siano messe in luce da una storiografia che dedica poco spazio al Sud-Est asiatico, una regione ancora poco nota e, forse, non ritenuta degna di troppo interesse. Anche qui il libro dei due autori sopracitati è degno di nota, dato che, seppur sommariamente, parla anche di quegli eventi.
In conclusione la Mongolia di Gengis Khan ha molto da insegnare ancora oggi, sia in merito ai rapporti con il continente europeo che con il resto del mondo. Il primo impero universale, con il suo dominio su popoli estremamente diversi, e con il suo essere totalmente differente da tutto quello fino allora conosciuto non può che fornire importanti insegnamenti, a chi li voglia cogliere, soprattutto ora che le guerre e le “invasioni” sembrano essere tornati estremamente di attualità.