Fumetto autoprodotto da Makkox
Mi sto chiedendo da tempo quale sia la differenza tra l'autoproduzione di un fumetto e l'autoproduzione un libro. La sostanza è la stessa: scavalcare l'intera filiera produttiva e distributiva e arrivare dritto dritto al consumatore, ovvero il lettore.
Il fumetto autoprodotto ha una sua gloriosa storia e ha sfornato un gran numero di bravi autori. Una volta i fumettari esordienti passavano prima per questa via: una fanzine o un fumetto da vendere nelle fiere più famose. Adesso le cose sono cambiate, soprattutto il mercato è cambiato, ma l'autoproduzione è rimasta, ha ancora una sua dignità e soprattutto ha una nuova vita proprio grazie al web e alla visibilità che esso offre.
Se una volta un fumettaro doveva girare l'Italia nelle fiere di Lucca, Roma o Napoli per vendere qualcosa adesso può anche starsene a casa e mettere a disposizione la propria opera tramite un blog.
Il fumettaro è molto più legato alla carta di quanto lo sia un romanziere. Il prodotto finito del romanziere è composto soltanto da una serie di parole mentre per il fumettaro c'è anche il disegno e il colore: una resa visuale che ha la sua giusta collocazione sulla carta. In molti casi, quindi, il fumettaro investe molti soldi per avere un prodotto cartaceo di qualità. Il rischio è tanto e non sempre si hanno buoni riscontri.
Tra chi è riuscito in questa impresa invece c'è Makkox che non nasconde le difficoltà che stanno dietro un'autoproduzione ma allo stesso tempo ne esalta, giustamente, la libertà creativa:
http://www.ninjamarketing.it/2011/04/20/intervista-a-makkox-su-ladolescenza-il-fumetto-autoprodotto-tra-la-carta-e-il-web-case-study/
Roberto Recchioni (autore di John Doe, Dylan Dog e tanto altro) è decisamente favorevole a tutto ciò:
http://prontoallaresa.blogspot.com/2011/05/uccidere-il-padre.html
e anzi... elenca i limiti di molte case editrici:
http://prontoallaresa.blogspot.com/2011/05/viva-gli-editori.html
Limiti che, come ben sappiamo, riguardano anche la narrativa classica: pessimo editing, scarsa cura della post-produzione (marketing, pubblicità, distribuzione), ecc.
Il punto però è questo: perché un fumettaro che si autoproduce riceve molta attenzione dai suoi colleghi e dalla critica mentre chi autoproduce un romanzo viene del tutto ignorato?
Cerchiamo di capirlo:
1- E' più facile capire se un fumettaro è bravo, mentre per uno scrittore non è la stessa cosa. Si capisce immediatamente se una persona è in grado di disegnare una tavola e scrivere una sceneggiatura. Se il suo disegno è professionale o amatoriale. Lo stesso non vale per un romanziere autoprodotto. Valutare un romanzo richiede meno intuito e strumenti critici molto complicati, cosa che in pochi hanno e quelli che li hanno esagerano e se la prendono con le D eufoniche (che in fondo non hanno mai fatto niente di male a nessuno) o lo show don't tell (che poi non è neanche obbligatorio).
2- Il romanzo richiede molto più editing del fumetto perché è più facile sbagliare. In entrambi si può sbagliare su più livelli: refusi, buchi nella trama o incongruenze, ma nei romanzi questi si nascondono con più facilità. Chissà quanti personaggi di romanzi hanno cambiato il colore degli occhi e dei capelli. Nei fumetti, una volta disegnato lo schizzo del protagonista, è difficile sbagliare.
3- Abbiamo sostanzialmente poca cultura narratologica. Non siamo in grado di capire, da una preview, leggendo venti pagine di un romanzo, se questo è buono o meno. Non avendo abbastanza strumenti per valutare uno scritto rimaniamo diffidenti e non lo compriamo. Forse lo possiamo leggere gratuitamente tramite il nostro lettore ebook di ultima generazione, ma non spenderemo mai dei soldi. Gli autori di romanzi autoprodotti quindi devono limitarsi alla pubblicazione gratuita e, in molti casi, all'autorefenzialità: scrittori autoprodotti che si pubblicizzano a vicenda. Questo però non è un mercato: dove non c'è denaro non c'è mercato.
4- La critica ufficiale snobba gli scrittori autoprodotti. Perché? I romanzieri autoprodotti sono tanti, troppi, e nel 99% di casi anche semianalfabeti che pensano di essere i nuovi Calvino o Tolkien. Non vale la pena leggere neanche dieci righe di quei manoscritti. Secondo molti la pubblicazione classica presso una qualche casa editrice, piccola o grande che sia, è un buon filtro. In realtà molti pensano che non sia così: si è creato un movimento di opinione che confuta questa presa di posizione affermando che le case editrici pubblicano soltanto per vendere a prescindere dalla qualità.
Che piaccia o no in Italia la situazione è questa e sarà molto difficile cambiarla. Nonostante il buon punto raggiunto dal web in grado adesso di veicolare i consumi e creare mercati alternativi, nonostante esista una critica letteraria non ufficiale ma con buone competenze, nessuno ancora è riuscito a costruirsi una nicchia nel mondo dell'autoproduzine che gli permetta di vivere con quello che scrive. E' un marmo difficile da scolpire.