Con un poetico intruglio di italiano e triestino, ecco che il Paròn ci avrebbe lasciati di stucco, commentando in chissà quale maniera le cento candeline schierate su una torta che - il 20 di maggio - non potrà gustare. Perché un secolo fa, il 20 maggio 1912, a Trieste nasceva Nereo Rocco. Nipote di Ludwig, cambiavalute viennese emigrato in Italia per amore di una cavallerizza spagnola, e figlio del macellaio Giusto, Nereo fa di cognome Rock sino al '25. Quando, divenuta obbligatoria la tessera del fascio per rifornire di carne le navi del porto, un distratto impiegato dell'anagrafe lo tramuta in Rocco, anziché in Rocchi, come invece avrebbe dovuto.
IL PICCOLO NEREO
Al calcio Nereo si appassiona, infante, per questioni geografiche: trasferitosi in Rione del Re dopo essere venuto alla luce a San Giacomo, casa sua dista da al campo di Montebello - dove gioca la Triestina - appena qualche centinaio di metri. Discreta mezzala, entra nelle giovanili dell'Unione grazie all'insistenza di Piero Pasinati, campione del mondo nel '38, nato nello stesso condominio di Rocco un paio d'anni prima. Esordisce in A diciassettenne, matura nella sua Trieste e prova anche l'ebbrezza dell'azzurro. Doppio. Vittorio Pozzo, commissario tecnico di un'Italia che pochi mesi più tardi avrebbe vinto il primo titolo mondiale della sua storia, gli offre un'occasione: contro la Grecia, il 25 marzo 1934 in quel di Milano, Rocco gioca appena 45 minuti, prima di venir sostituito da Giovanni Ferrari all'intervallo.
ROCCO AZZURRO
L'altro azzurro è quello del Napoli. Per assicurarselo, Achille Lauro, il «Comandante» appena insediatosi alla presidenza, scuce 160 mila lire, facendo della ventinovenne mezzala sinistra triestina il calciatore più pagato del mercato partenopeo. Alle pendici del Vesuvio trascorre un positivo triennio, quindi accetta l'offerta del Padova, in Serie B. In panchina trova József Bánás, che ha trascorso gli ultimi tre campionati alla guida del Milan(o, denominazione assunta nel febbraio '39 e mantenuta sino al termine della guerra), e - con Bortoletti, già compagno di squadra a Trieste che da Bánás era stato allenato a Milano - gli fa una proposta indecente: un uomo in più in difesa, il terzino Ubaldo Passalacqua. E Rocco, mezzala, s'inventa mediano, per consentire al mediano di rimpiazzare Passalacqua, ormai battitore libero.
MISTER ROCCO
Quello che sta diventando «el Paròn» pensa ormai da allenatore e, tornato nell'amata Trieste, mette in pratica le proprie idee, come allenatore-giocatore del Circolo Sportivo Cacciatore prima e della Libertas Trieste poi, nel ruolo di libero. A 33 anni appende definitivamente gli scarponi - perché tali erano all'epoca - al chiodo, pochi mesi più tardi rimpiazza Mario Varglien alla guida della Triestina, ultimissima nel 1946-47 e ripescata d'ufficio «per motivi patriottici»: un bella gatta da pelare, a cui si aggiunge il fatto che per i primi due mesi Rocco non percepisce neppure una lira. Il Paròn si rimbocca le maniche, e conduce la squadra al secondo posto (49 punti, come il Milan e la Juventus) alle spalle del Grande Torino, che quell'anno segna 125 gol e totalizza 39 punti dei 40 disponibili in casa, frutto di 19 vittorie ed un solo pareggio al Filadelfia. Essendo il calcio uno dei migliori per dimenticarsi di una maledetta guerra, in città non si parla d'altro, e Rocco viene addirittura eletto consigliere comunale nelle liste della D.C.!
ROCCO PADOVANO
L'idillio dura un paio di stagioni, poi l'addio. Il Paròn, che poi vuol dir «padrone», giura di non voler più allenare, scottato dalla burrascosa vicenda. Ci ripensa quando il Treviso, neopromosso in B, gli offre la panchina, su cui trascorre tre campionati, prima di far ritorno a Trieste: pochi mesi, prima che un poker di Gunnar Nordahl (Triestina-Milan 0-6, 21 febbraio 1954) lo condanni all'esonero. Ecco però Bruno Pollazzi, commerciante d'automobili nonché presidente del Padova, il quale lo riporta dove aveva concluso la carriera. Con risultati sfavillanti: Rocco pesca i biancoscudati nei bassifondi della cadetteria, li salva e nella stagione seguente li conduce alla promozione. In otto anni a Padova, Rocco diventa un'istituzione: Scagnellato, Blason, Azzini e Moro sono i mattoni di un invalicabile muro difensivo, mentre Kurt Hamrin, l'«Uccellino», viene svezzato in quel 1957-1958 che vede il Padova piazzarsi terzo, alle spalle di Fiorentina e Juventus (per i bianconeri, è lo scudetto della prima stella).
LA POESIA DI NEREO
Ma non c'è solo il calcio per il burbero Rocco, che appare tale pur senza esserlo in realtà, la sua vita s'interseca infatti anche con l'arte: cinema e poesia, cronologicamente invertiti, oltre alle - incredibile a dirsi - lezioni di piano impostegli dal babbo, che per lui sognava un futuro da concertista. Anzitutto, la lirica: domenica 15 ottobre 1933 l'Ambrosiana-Inter è di scena a Trieste, Meazza sbaglia un rigore, Rocco bisticcia col mediano nerazzurro Alfredo Pitto e la partita finisce zero a zero. A far notizia non è l'errore del Peppino, che pure è rigorista infallibile, bensì un'inconsueta presenza sugli spalti: Umberto Saba, lì per caso, grazie ad un biglietto cedutogli da un amico impossibilitato a recarsi allo stadio. «Tre momenti», una delle «Cinque poesie per il gioco del calcio», nasce quel giorno, ed il quart'ultimo verso - «Nessun'offesa varcava la porta» - è un chiaro riferimento all'occhialuto punteggio. Rocco e Saba, purtroppo, non si parlarono mai, anche se il Paròn ammise di aver incrociato il poeta in più d'una occasione in un caffè cittadino. Con Fellini, che sognava di scritturarlo per «Amarcord», ci fu invece un gustoso pranzo in un ristorante bolognese, a base di tortelli e lambrusco: Rocco, però, fu costretto a declinare l'offerta. Il padre di Titta verrà quindi interpretato da Armando Brancia, mentre il Paròn, come direttore tecnico del Milan, vince Coppa Italia e Coppa delle Coppe.
Questo è stato Nereo Rocco, prima di vincere tutto sulla panchina del Milan. Che è storia nota ben più di quella sin qui narrata, e - mi auguro - per questo meno intrigante. Auguri, Paròn.
Antonio Giusto
Fonte: Calcio 2000