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Aun + thisquietarmy + mai mai mai, 4/11/2013

Creato il 09 novembre 2013 da The New Noise @TheNewNoiseIt

Thisquietarmy

Bologna, Bar Modo Infoshop.

Con l’idea di bermi un tranquillo aperitivo al Bar Modo Infoshop avvolto da dell’ottimo ambient, mi incammino sotto un cielo incerto verso via Mascarella. È difficile vedere questo piccolo locale vuoto. Di solito, come stasera d’altronde, la clientela si spinge fino alla strada, anche se non tutti i presenti – la maggior parte – si trovavano lì per la musica. È in questo tipico spaccato bolognese che si esibiranno tre realtà distanti ma ben assemblate.

Un po’ in ritardo comincia Mai Mai Mai, neonato progetto del gestore della NO=FI Recordings: Toni Cutrone. Nonostante sia abituato a suonare in duo negli Hiroshima Rocks Around e nei Trouble Vs Glue, questa volta Cutrone sceglie una via più solitaria. In questo set introverso svuota nella sua cupa realizzazione, con tanto di enigmatica maschera, una misantropia musicale degna dell’industrial più austero. Tra pedaline di chissà quale genere e altre diavolerie elettroniche, l’unica fonte di luce è una candela: grazie ad essa la maschera a punta, con solo dei fori per gli occhi, cattura la nostra attenzione, e un po’ spaventa. Sul muro viene proiettato il logo. La musica è ben studiata: si crea un mix fra una melodia distorta, tendente all’harsh, sotto la quale una parte più ritmata, mai protagonista, scongiura l’affogamento nell’astrattismo. Potrebbe ricordare quel tipo di post-powerelectronics marcata da bpm molto in voga al momento, e forse effettivamente la richiama, ma il sound è originale e i pezzi sono estremamente intriganti. A fine concerto, interrotto da una graziosa vecchietta urlante, compro il vinile Theta, appena uscito per Boring Machines, mixato da Jamie Stewart, con le grafiche di Canedicoda, foto di Ilaria Doimo e stampato da Legno: si poteva forse resistere ad un sestetto del genere?

Dopo una breve pausa, durante la quale posso rifornirmi di birra e dare un’occhiata alla libreria accanto (che fa sempre parte del locale), cerco subito di riguadagnare le prime file per ascoltare il secondo progetto solista della serata: Thisquietarmy. Il concittadino degli Aun, però, si distacca molto dall’ambient et cetera di questi ultimi. I suoni ricercati appartengono a terre più vaste, più aperte. Anche in questo set vediamo una notevole quantità di pedaline, che serviranno soprattutto a distorcere, rimodellare e loopare le note della chitarra, una metodologia già vista ma molto efficace. Una drum-machine – appunto – riverberata traccia il tempo sul quale viene tessuto un intricato velo di melodie shoegaze (gli occhi son sempre sui distorsori) alternate ad altre post-rock, molto minimali ma che si sviluppano in un crescendo continuo. Per tutto il tempo vengono proiettati video a metà fra il nostalgico e l’ipnotico, un ottimo accompagnamento per un set che, nonostante non risulti del tutto statico, senza di essi avrebbe sofferto qualche mancanza.

L’onore di essere gli headliner è ovviamente lasciato agli Aun, con una certa probabilità il nome per cui la maggior parte dei presenti interessati sono venuti stasera. Vari e confusi sono i nomi e gli strumenti che hanno preso parte alla line-up, che stasera si presenta in forma di duo elettronico (anzi: quasi totalmente per mac), composto da Martin Dumais (fondatore del progetto) e dalla videoartista (ma non solo) Julie Leblanc, cosa che stupisce, sentiti gli ultimi lavori più per chitarre kosmische. Raramente un concerto ambient riesce a rendere ciò che già si era sentito su disco, e il duo canadese non fa eccezione. Per tutta la durata del set il suono statico subisce poche, poco interessanti, variazioni. Forse la parte che merita più attenzione sono i video estremamente rimaneggiati, che a tratti sfiorano il totale dissociamento dalla figura. Purtroppo l’insieme risulta un po’ noioso, l’accompagnamento glitch coinvolge per il primo quarto d’ora, ma non riesce a rinnovarsi e dunque scade in un minimalismo non del tutto voluto. Inoltre il locale non è dei più adatti per creare quell’atmosfera densa e umida che caratterizza i dischi di Dumais: a metà della performance quasi tutti sono fuori a parlare e nel locale regna una confusione che non aiuta il già complesso ascolto. Di sicuro in un ambito diverso la situazione sarebbe cambiata in meglio per Martin e Julie: i suoni sono comunque quelli inconfondibili dei lavori più evocativi usciti a nome Aun, ma set e location non si sono sposati al meglio, stavolta.

Grazie a Luca Ghedini per la foto.

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