Aung San Suu Kyi è ora un membro della nostra famiglia.

Creato il 01 novembre 2013 da Davideciaccia @FailCaffe

Questo ottobre si è concluso con la visita a Bologna e a Parma di Aung San Suu Kyi, la leader birmana che ha trascorso 19 anni agli arresti domiciliari in nome della lotta per la pace, la democrazia e i diritti umani nel suo Paese. La Lady ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Bologna e Parma, oltre che la laurea ad honorem in Filosofia dell’Alma Mater, divenendo a tutti gli effetti un membro della nostra famiglia.

di Silvia Cardascia

Auung San Suu Kyi nasce nel 1945 a Rangoon, l’allora capitale della Birmania (o Myanmar). Figlia dell’eroe nazionale Aung San, ha solo due anni quando suo padre viene assassinato. Un anno dopo, il 4 settembre 1948, la Birmania guadagna l’indipendenza, causa alla quale Aung San aveva dedicato e perso la sua vita. La giovane Suu Kyi studia a Rangoon, New Deli (dove entra in stretto contatto con la politica della non violenza) e si laurea alla Oxford University in filosofia, politica ed economia. Dopo aver beneficiato di una formazione internazionale di ampio respiro e lavorato per le Nazioni Unite a New York, sposa l’accademico Michael Aris e vive per 20 anni a Londra. Nel 1988 Suu Kyi torna in Birmania per un ultimo saluto a sua madre sul letto di morte. Il suo ritorno coincide con lo scoppio di un’insurrezione spontanea: studenti e buddisti si riversano nelle piazze per rivendicare un dilagante malcontento nei confronti di 26 anni di repressione politica e declino economico. “Suu” (come vezzeggiativamente la chiamano i suoi familiari), emergendo immediatamente come il leader legittimo del movimento insurrezionale, fonda la “Lega per la Democrazia”. La giunta militare allora al governo arresta Suu Kyi nel 1989, ma alle elezioni generali del 1990 il suo partito ottiene l’82% dei suffragi. I militari reagiscono impedendo la convocazione del Parlamento e mantenendo il controllo armato del Paese. Suu Kyi rimane ai domiciliari ma nel frattempo ottiene crescente visibilità internazionale, grazie anche allo strenuo supporto di suo marito Michael. Nel 1990 le viene conferito il premio Sakharov per la libertà di pensiero dal Parlamento europeo; nel 1991 si aggiudica il premio Nobel per la pace (entrambi i premi saranno ritirati solo a posteriori, dati gli allora arresti domiciliari). I suoi riconoscimenti nazionali ed internazionali le valgono altrettante dolorose conseguenze personali: nel 1999 suo marito Michael muore a Londra. Suu Kyi, più volte invitata a raggiungerlo per un ultimo saluto, rifiuta. Sa che una volta fuori dalla Birmania il regime non le permetterebbe più di tornare. Tra amor di donna e amor di patria, sceglie il secondo.

Il 1 Aprile 2012, la “Lega per la Democrazia” entra in Parlamento, e Suu Kyi siede finalmente nel posto che le spetta per diritto. A giugno 2013 annuncia al World Economic Forum la sua decisione di candidarsi alle presidenziali birmane del 2015.

 In ragione dell’incomparabile tenacia e determinazione della Lady, non stupisce la commozione del professor Gianni Sofri, chiamato a presentare la Suu Kyi in occasione del conferimento di cittadinanza onoraria consegnatole dal Comune di Bologna mercoledì scorso. Era il 15 settembre 2008 quando il Consiglio comunale con voto unanime approvò la richiesta dell’allora presidente Gianni Sofri di offrire la massima onorificenza alla leader birmana, allora ai domiciliari. Due giorni fa, giunta a Palazzo d’Accursio per diventare effettivamente cittadina bolognese, Suu Kyi si è detta “innamorata platonicamente dell’Italia”. Dalla fisionomia minuta, il portamento elegante e i lineamenti finissimi, la Lady si è seduta di fianco al professor Sofri che ha elencato i valori universali dei quali la donna è portatrice. Primo tra tutti: la resistenza civile, tipica del buddismo tibetano e del maestro Gandhi. Sofri tende però a sottolineare un altro aspetto che la contraddistingue dai suoi predecessori. Durante gli anni della sua lotta, in Birmania e più globalmente in Asia prevaleva una corrente di pensiero condivisa, vale a dire quella che democrazia e diritti umani rappresentassero valori “occidentali”. In risposta e in contrapposizione a questo pensiero, Suu Kyi sottolinea che non esistono valori occidentali vs. valori orientali. Ci sono diritti, come ad esempio quello della condanna alla tortura, che sono diritti universali e inalienabili. Quest’universalità disarmante di pensiero, secondo Sofri, ha tenuto in noi accesala fiaccola della speranza. “Bologna, che nel suo stemma riporta la parola libertà, che nel 1257 è stato il primo comune della penisola ad abolire la schiavitù, che ha combattuto con tenacia e lotta civile il fascismo, è fiera di accogliere Aung San Suu Kyi come cittadina onoraria”, conclude Sofri.

Deciso, ricco ed emozionante il discorso della Suu Kyi in risposta al conferimento ricevuto. La sua “lectio magistralis” è stata incentrata sul tema della “libertà dalla paura” (Freedom from fear è il nome del suo libro). Libertà dalla paura dell’altro, libertà dalla paura della dittatura, libertà dalla violenza e dalla risposta violenta ad azioni violente. “La riconciliazione non è solo necessaria ma possibile”, ci insegna la Lady. Riconciliazione intesa come mutuo riconoscimento tra le parti in lotta e dialogo volto al raggiungimento del fine ultimo che è la pace. Secondo valore importante è l’integrità politica, quella che le è stata tramandata da Aung San il quale prima che suo padre è stato il suo leader. Terzo valore è la spiritualità, intesa non tanto come religiosità quanto come percezione dell’altro e della responsabilità civile collettiva. E infine, la sua definizione di democrazia: “Democrazia significa non tanto imparare ad andare d’accordo quanto imparare a non andare d’accordo”. E non si risparmia una battuta sarcastica sulla situazione politica italiana, affermando ironicamente che è più difficile governare l’Italia che la Birmania. (Precisando che proprio dal “conflitto” democratico si misura il grado della competizione politica e dunque quello della sonorità di tutte le voci in una democrazia rappresentativa). In altri termini, l’importanza non tanto della libertà di parola quanto della libertà dopo aver proferito parola (che in inglese rende meglio: “Not freedom of speech but freedom after speech”). La libertà non è infatti solo un valore nominale ma anche reale, che deve essere garantito dalle leggi dello stato di diritto.  Quel senso di empatia, fratellanza e collettivismo, propri della religione buddista, si leggono nell’ultima frase del suo discorso: “Grazie per avermi permesso di essere un membro della vostra famiglia”.

Dopo la cerimonia al Consiglio comunale, trasmessa sui grandi schermi in Sala Borsa e all’Archiginnasio, la leader si è recata presso l’Aula Magna dell’Università di Bologna, per ricevere la laura ad honorem attribuitale nel 2000. L’occasione non è stata unica ed esemplare solo per il calibro e l’intrepida coerenza della protagonista in aula, ma anche per il discorso del Magnifico Rettore Ivano Dionigi in occasione dell’inizio del 926° anno accademico. Così accoglie la Lady:

“La Sua presenza qui oggi, tra le tante parole possibili, ne evoca e sollecita una sopra tutte: libertà. Parola una e insieme plurima, perché c’è una libertà da e una libertà di. C’è la libertà dallo straniero conquistatore, dallo straniero occupante.  C’è la libertà dai nemici della democrazia, dall’abuso dei più forti.  Ma c’è anche la libertà interiore dai giudizi altrui, dai pregiudizi propri, e soprattutto – come ci ha insegnato Aung San Suu Kyi – dalla paura, individuale e collettiva. Paura di vivere e di morire, dell’oggi e del domani, di non farcela per sé, per i propri cari, per il proprio popolo. E poi c’è la libertà di difendere e promuovere i diritti fondamentali; di esprimere e realizzare le proprie idee morali, politiche e religiose; di essere cittadini del mondo e di scegliere il proprio destino”.

 Oltre ad elogiare elegantemente la donna, il rettore ci ha ricordato anche che “L’Università -per sua storia e per sua natura- è libertà”. Nel nostro Paese, afflitto da “povertà culturale e miopia politica” l’Università è chiamata oggi più che mai a svolgere un ruolo primario e insostituibile nella formazione delle persone, nella programmazione delle scelte politiche e nello sviluppo delle relazioni internazionali. “La politica di questo Paese può ripartire solo grazie alla cultura, all’istruzione e alla ricerca. Non avrà altra salvezza.  La crisi oggi è economica perché è politica, è politica perché è culturale, è culturale perché è morale e spirituale”, conclude il rettore. La lectio magistralis della San Suu Kyi non poteva che essere edulcorata dall’altrettanto levatura morale del discorso di inizio anno accademico nella città universitaria per eccellenza.

Ieri Aung San Suu Kyi è arrivata a Parma, seconda città dell’Emilia-Romagna a concederle la cittadinanza onoraria. Le note del “Va’ Pensiero” hanno accompagnato il Nobel nel suo congedo sotto i portici del Grano.

 Se la Lady si è detta innamorata platonicamente dell’Italia, a mio avviso tutti noi siamo stati folgorati dal suo sguardo fermo e calmo, dalla sua oratoria, dalla sua battuta mordace e dalla sua lucidità di pensiero esemplare. La visita di una leader di tal calibro in un momento di cotanto vacillamento intellettuale dei suoi corrispettivi italiani, fa riflettere sul significato tanto moderno quanto contemporaneo di libertà. Ma ancor più sull’importanza dell’istruzione e dell’Università, sulle radici della nostra “crisi” morale e politica e sul suo significato etimologico di “superamento” e “rinascita”. Rinascita di valori universalmente condivisi e democraticamente implementati, questo l’insegnamento di Aung San Suu Kyi o semplicemente “Suu” ora che è entrata a far parte della nostra famiglia.


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